…”Le opere oscillano e fluidificano da un secolo al successivo” è la mostra che vede come protagonista Gilberto Zorio alla galleria de’Foscherari di Bologna. A distanza di cinquant’anni dalla nascita del movimento poverista teorizzato da Germano Celant e ispirato al “teatro povero” di Grotowski, questa mostra acquisisce maggiormente di significato e si aggiunge alle tante tappe che la storica galleria bolognese ha percorso nel favorire l’evoluzione dell’arte povera, dall’esposizione Arte Povera del 1968 sino a oggi.
L’ultimo progetto è concepito come una narrazione di attraversamenti spazio temporali, associazioni e ritrovamenti del segno e le sue progressioni energetiche. Da sempre Gilberto Zorio è a favore di un’arte che è gioia, fatica e rivoluzione, che non si affanna per farsi accettare, che ripudia il clamore e che s’interroga sulle forze essenziali, che unisce officina e immaginazione, che lascia le spettacolarizzazioni alla materia ai suoi effetti, alle sue dispersioni. Questi i motivi di così tanto splendore e interesse a distanza di anni, unitamente al conseguimento di un’indagine rivolta essenzialmente alla «trasformazione della materia in energia» (Epstein). Per Gilberto Zorio la materia è parte integrante di una ricerca spasmodica, una selezione effettuata in base al magnetismo, alla potenzialità attiva, all’indice di integrazione nello spazio cosmico e onirico. In mostra opere ammantate di un’aura fantastica, trafitte da creazione e utopia, praticamente collocate al di fuori dello spazio tempo ma fisicamente poste in un perimetro irregolare che si erge ad ambiente ideale per la stimolazione visiva e per l’attivazione delle composizioni stesse, ambiente in cui l’artista sembra non intervenire mai se non con la mente. In un angolo svetta Letto, opera iconica del 1966, manifestazione di un contrasto tra la comodità rassicurante dell’oggetto abituale e la fredda lamiera che lo costituisce, composto metallico e organico; a pochi metri di distanza la Stella calibrata, opera realizzata con calibri da scultore, giavellotti e ampolla in pirex, fosforo alchemico e bronzo scultoreo, tanto più archetipo e spuria rappresentazione. Sicché, la forma ibrida e sbalorditiva è fatta per rubare l’aspetto magico e mescolarlo a quello di un’officina ancora brulicante: “Quel pezzo di stella proviene dallo studio di Henry Moore” – afferma Gilberto – incontro e testimonianza di diverse realtà, quella atlantica e quella italiana degli stabilimenti industriali torinesi. Diverse realtà e nessun mistero. L’uso del simbolico, infatti, viene utilizzato da Zorio come mezzo di contrasto al simbolico stesso, metonimia dell’incertezze e delle contrapposizioni dei tempi passati e odierni, aggregato di frammenti ben lontano dalle stilizzazioni imperanti del primo novecento.
La Canoa aggettante invece, svetta al centro della sala. Imperiosa e recisa, laccata di nero e trafitta da una lancia, trasmette un effetto crescente del lancio come se stesse viaggiando attraverso piani temporali. Tutto appare nell’aria, in un afflato epico che sovrasta le forme, che si materializza nella cristallizzazione dell’azione, nell’esaltazione del gesto. L’artista precisa che si tratta di un Kayak: “l’effetto scultoreo di quel braccio laterale è un richiamo alla Spagna. Quella curva che termina nell’alambicco, mi ricorda i bevitori di sidro che riescono ad abbeverarsi senza mai sporcarsi le labbra, e la bevanda compie una traiettoria incredibile, ellittica”. Osservare le opere di Gilberto Zorio è paragonabile a un’esperienza evasiva: viaggio e sogno accompagnano uno stupore costante. Per purificare le parole, è una visione alchemica che si autonomizza sospesa, esperimento di alta e naturale fascinazione in attesa di intraprendere il processo di trasformazione. Lo sfioramento di una corda che oscilla condotta dal peso di piombo, è il passante divisorio tra un ambiente e l’altro: “è l’equilibrio” – chiosa l’artista – un confine che anticipa il fluttuare di un’opera come Marrano con treccia, entità libera di volteggiare e costruire cerchi in aria con la connivenza di una notte fosforescente e forme in piena luce, con in sottofondo il suono dei carillon della città belga di Mechelen. Se nel mondo non vi è spazio per le differenze, nelle proiezioni di Zorio regnano i contrasti, punti di rottura avvalorati da un estetica contemporanea in cui tutto è distanziato, nella stagnazione e nel moto. Ebbene sono proprio i contrasti ad accendere la materia, una materia in cui langue una forma d’azione esterna, i cui assemblati sono figli di un dinamismo italico privo di riferimenti e rinvigorito dalle interazioni con gli elementi postmoderni: segmenti organici e postindustriali, icone ibride e polarità, o semplici ponti temporali fra arte e rivolta.
Rino Terracciano
mostra visitata il 1 febbraio 2017
Dal 16 dicembre 2016 al 16 marzo 2017
Gilberto Zorio, Le opere oscillano e fluidificano da un secolo al successivo
Galleria de’ Foscherari,
Via Castiglione, 2B, 40124 Bologna
Orari: dal lunedì al sabato: 10.00 – 12.30/ 16.00 – 19.30
Info: +39 051 221308 – www.defoscherari.com – galleria@defoscherari.com