Franco Vaccari:
chi è? “
Non è un fotografo”, esordisce decisa Angela Vettese nell’incipit del suo testo in catalogo. Per essere più chiari, la forte negazione non dipende certo dalla volontà di denigrare le virtù tecniche dell’artista modenese; lo scopo, semmai, è proprio quello contrario. Permettergli cioè di spogliarsi dell’abito (troppo stretto) del fotografo di professione, del reporter, e allo stesso tempo di indossare quello notoriamente più comodo e abbondante dell’operatore culturale. L’ambito d’indagine diventa, in questo modo, sempre più ampio e riduce la macchina fotografica a uno dei tanti media a disposizione.
È forse un poeta? Sicuramente lo è stato, visti i suoi esordi di carriera tra le fila della Poesia Visiva -come recitano le puntuali didascalie di sala- con
Pop Esie ed
Entropico. Entrambi perfettamente inseriti nel contesto di un collagismo eterogeneo di immagini e parole (stralci di giornali, riviste), non tarderanno a lasciare la loro traccia profonda su tutta la sua ricerca, nei
Photocollage prima e nelle ricerche narrative poi. Poeta lo è ancora Vaccari e di grossa fama, ne è chiara dimostrazione la lunga fila che attende all’ingresso della Photomatic sistemata nel salone d’ingresso della Palazzina dei Giardini. Ma lo è stato fin da subito si diceva, anche quando fotografando le altrui scritte sui muri, nelle quali “
il segno è significativo, così come l’azione che lo ha generato” (Angela Madesani), dava alla luce una pubblicazione di evidente carattere avanguardista (
Le tracce, 1966) da un lato, e alcune interessanti prove videografiche (
Nei sotterranei, 1966-67).
È dunque che cosa? Un ardito inventore, un abile comunicatore dell’
inconscio tecnologico insito nella fotografia, capace di contravvenire volta per volta alle regole dettate dall’utilizzo rigido e prestabilito del mezzo.
Una grande immagine in movimento campeggia lontano: è il video
Cani Lenti (1971), legato a doppio filo alla serie di scatti
La città vista a livello di cane, una delle più famose, uno dei più fortunati esempi di ribaltamento del classico punto di vista dell’obiettivo fotografico. Come, sulla stessa linea, si collocano le immagini di
Isola di White, zeppe di inquadrature sghembe, di corpi tagliati, straripanti di spontaneità, alla costante ricerca di uno sguardo
altro. In bilico sempre tra spazialità (abbassare la visuale o distorcerla) e temporalità (esposizioni
in tempo reale,
Viaggio sul Reno), arte e non arte, fotografia e non fotografia in una continua rincorsa degli opposti.
L’esposizione porta in sé tutto questo, e gli eventi antologici dedicati a personaggi di questo calibro, mai troppi, sono al contrario utili e addirittura necessari alla comprensione del nostro tempo. Un unico rimpianto: l’allestimento ortodosso e schematico rischia di far rientrare l’artista nelle categorie che si sono fin qui aspramente combattute.
E lasciatelo divertire.
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Grazie a Claudio Marra per averci spiegato Vaccari e grazie a Claudio Musso di avercelo parafrasato!