Resa possibile grazie al felice connubio tra Soprintendenza e Museo, e giovandosi dello stretto rapporto che lega il direttore del Museo per l’arte bizantina di Berlino Arne Effenberger alla città di Ravenna, fin dalle frequentazioni ai corsi di cultura sull’arte bizantina del 1976, l’esposizione presenta una splendida selezione di oggetti di scultura, elementi architettonici ed arredi liturgici provenienti dalle collezioni paleocristiane e bizantine dei musei berlinesi. I nuclei principali di queste raccolte straordinarie risalgono al XIX secolo e provengono dalle raccolte prussiane, cui si è aggiunta l’importante collezione del veneziano Pajaro, acquistata nel 1840.
I reperti esposti sono in maggioranza provenienti dall’area costantinopolitana, capitale dell’impero romano d’oriente, e risalgono all’età compresa tra il IV e il XIII secolo, con una rilevante predilezione per il secolo d’oro dell’imperatore Giustiniano. Il percorso espositivo si fonde con quello del Museo Nazionale ravennate che raccoglie coevi reperti di origine locale, essendo stata proprio Ravenna, nel 402, a seguito del trasferimento da Milano della sede della corte imperiale, l’ultima delle capitali dell’Occidente tardoantico.
Si deve a Effenberg l’idea di creare questa sorta di ricongiungimento ideale tra la capitale orientale e quella occidentale, rinnovando lo scenario degli intensi traffici, collegamenti e scambi culturali che legavano le due capitali. Ravenna ritrova la sua grande sorella e si specchia in essa, riscoprendosi una delle città più belle e ricche dell’Italia post classica. Dopo l’eccezionale mostra sui Longobardi a Brescia (alla quale Ravenna ha prestato alcuni reperti di altissimo pregio) quest’altra esposizione sull’epoca tardo-antica serve ad almeno un duplice scopo di natura didattica: da un lato dimostra, semmai ve ne fosse ancora bisogno, che i famosi secoli bui del tempo in cui si disfece l’impero romano furono invece luminosissimi e intensi dal punto di vista culturale e artistico; dall’altro, per i più attenti, prova la teoria di una continuità della cultura mediterranea, al di là dei mutamenti politici, almeno fino alla rivoluzione economica dell’XI secolo.
Tra le opere più significative si segnalano il torso di una statua dei imperatore di porfido rosso, che richiama i ben noti tipi dei tetrarchi veneziani, i capitelli traforati a foglie d’acanto mosse dal vento, di straordinaria eleganza plastica e decorativa, il pannello in marmo con la “Vergine orante” proveniente da Sulu Manastir, anticamente Chiesa della Theotokos Peribleptos di Costantinopoli e i plutei zoomofi, decorati da raffinati meandri e racemi vegetali stilizzati. Ricchissima anche la sezione degli avori, tra cui spicca la “Grande pisside di Berlino” (IV/V secolo). Da ultimo non si può tacere del curioso e splendido unicum plastico denominato “Il gioco delle biglie” decorato con avvenimenti legati allo svolgimento delle corse dei cavalli nell’ippodromo di Costantinopoli, sorta di congegno scolpito nel marmo che doveva servire per il sorteggio delle piste durante le corse mediante la casuale estrazione di biglie oppure, più probabilmente, come semplice passatempo che imitava le corse dei cavalli.
In mostra anche la celeberrima cattedra d’avorio di Massimiano, conservata al Museo Arcivescovile di Ravenna, che si vuole dono di Giustiniano al primo tra i vescovi ravennati insignito del titolo di Archiepiscopus per volontà imperiale.
Il catalogo è ben fatto, di grande rigore scientifico e corredato da buone foto; vale la pena di acquistarlo dato che dà diritto ad un ingresso gratuito.
Con lo stesso biglietto è visitabile tutta la collezione permanente del museo ravennate, compresa la importante sezione di reperti preistorici. A dire il vero la visita di questa parte non risulta troppo entusiasmante, non tanto per il valore degli oggetti esposti, di altissima qualità quanto piuttosto perché l’esposizione degli stessi risulta penalizzata da un allestimento un po’ anacronistico; gli ambienti sono poco invitanti, la disposizione degli oggetti alquanto caotica, le didascalie insufficienti e mal disposte; anche l’impianto di illuminazione lascia a desiderare, nuocendo soprattutto alle superfici scolpite, che notoriamente, grazie ad una buona progettazione dell’impianto sanno valorizzarsi come nessun altro oggetto d’arte. Se a questo si aggiunge il fatto che il clima interno, all’epoca della visita dello scrivente, era assolutamente invivibile per il caldo d’agosto, si possono ben comprendere gli sguardi distratti e le imbarazzanti corse di molti turisti su e giù per le sale, alcuni alla ricerca dell’uscita e incapaci di trovarla.
Ricordo infine che la visita alla mostra Konstantinopel offre la grande opportunità di ammirare, per la prima volta a Ravenna, alcuni frammenti di stoffa rinvenuti casualmente nella chiesa di S.Apollinare in Classe nel 1949. Sottoposti a complicati e lunghi restauri, si tratta di resti di vesti sacre di epoca medievale compresa tra l’VIII e il IX secolo.
Data la rarità di reperti simili, quelli esposti rappresentano una testimonianza preziosissima dell’arte tessile e dell’abbigliamento ecclesiastico dell’alto medioevo. Occorreranno ancora parecchi anni, per stessa ammissione di Luciana Martini, Direttore del Museo Nazionale, perché tutto il corredo recuperato possa trovare una sistemazione ed esposizione completa e definitiva, e ciò proprio in virtù della particolare delicatezza dei restauri e dello stato avanzato degrado che ci si trova a fronteggiare.
Alfredo Sigolo
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