La mostra emiliana indaga la personalità e l’opera del
pittore-scultore Marino Mazzacurati (San Venanzio di Galliera, Bologna, 1907 – Parma, 1969), meglio
conosciuto per i monumenti d’interesse pubblico realizzati nel dopoguerra. Attività ,
quella monumentale dello scultore, che pone sempre in evidenza gli scostamenti
stilistici e compositivi di queste opere nei confronti di quelle realizzate con
piĂą libera ispirazione.
L’avventura monumentale di Mazzacurati ha inizio sul
finire degli anni ’30, quando gli viene commissionata una scultura destinata a
ornare il Foro Italico (il loco è documentato da Alfonso Panzetta su Eterni
Atleti, 2005; ma
perché collocarlo in catalogo al Circolo del Tennis di Roma?): Il giocatore
di tamburello, in
marmo statuario, rifinito nel 1942 nel laboratorio Bibolotti di Carrara. Dopo
la fine del conflitto seguono diverse opere celebrative “di gusto
decisamente realista”
(Rosanna Ruscio),
bozzetti in gesso delle due figure che lo compongono -, alla Resistenza di Mantova (1961), e il monumento
dedicato alle Quattro giornate di Napoli (1964).
Un percorso accidentato quello di Mazzacurati, non solo
per la sua indole monumentale, ma anche per il tralasciare a un certo momento
la pittura per dedicarsi alla scultura, quando nella prima aveva giĂ raggiunto
interessanti esempi, nel Ritratto d’uomo (1930), nei magici disegni a inchiostro e china (Sirene, 1931) ispirati ai Canti
Orfici di Dino
Campana, nelle pitture a olio Natura morta con teschio (1931) e Nudo rosso (1936), intrise delle infuocate
coloristiche di Scipione, e ne La Maison Tellier (1936), moderna e azzardata nelle quinte sceniche e che
s’avvicina alle atmosfere dei malfamati interni di Ziveri.
La frequentazione del miglior ambiente artistico della
Capitale gli dĂ modo di stringere amicizia con artisti come Scipione e Mario Mafai, che trasmettono tracce
emozionali ed esecutive nella sua pittura, all’inizio affannata da volontĂ
neo-metafisiche (Natura morta con filosofo, 1926) e da iconici spaesamenti carraiani, nell’Incontro
con Rachele e Giacobbe (1927) e nei disegni dell’anno successivo.
Nell’attivarsi alla scultura tra il 1937-38, le prove più
interessanti sono raggiunte con una sintesi formale impreziosita nei
particolari (Conte N, 1941), alle quali seguono composizioni di corpi avvinghiati e agitati,
che nelle positure fanno pensare all’Ercole e Anteo del Pollaiolo, impostate dalla fresca e solida
plasticitĂ (Lottatori, 1942),
che storicamente è seguente al magistero e agli esempi di Rodin, conosciuti durante un viaggio a
Parigi.
L’avvento della guerra stravolge l’espressività dello
scultore emiliano, che pare ossessionato dagli orrori che ne consegue, tanto da
spingerlo a modellare altorilievi affogati da cumuli di corpi straziati,
infoibati nelle superfici tragiche dei piani (Sotto i bombardamenti, 1943; La strage degli innocenti, 1944; L’Apocalisse, 1951).
Sul finire della sua attivitĂ , sotto consiglio di Argan, tenta
di riappropriarsi del mezzo pittorico. Ne scaturisce una forzata astrazione,
fredda e non sentita, estranea alla sua natura.
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Marino
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a cura di Silvana Bonfili e Anna Paola Agati
Chiostri di San Domenico
Via Dante Alighieri, 11 – 42100 Reggio Emilia
Orario: da martedì a venerdì ore 16-19; sabato, domenica ore 10-13 e 16-19
Ingresso libero
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Info: tel. +39 0522456477; musei@municipio.re.it;
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