Dopo aver fotografato i paesaggi urbani più noti del mondo,
Olivo Barbieri (Carpi, Modena, 1954) torna alla sua Modena, omaggiandola con un progetto di trenta dittici fotografici di grande formato ripresi da un elicottero – secondo il metodo collaudato ormai da anni – e con due video realizzati per l’occasione.
Attraverso la messa a fuoco selettiva, che identifica i luoghi come modellini in scala, lo spazio conosciuto viene trasformato secondo la forma fittizia di un modello visivo concettuale. Un’essenzialità ridotta all’osso, dove il particolare fotografico è ingrandito, raccontando la sua storia. Niente di più che semplici sagome trasformate in enigmi da risolvere e presenze ambigue da delineare. Ma che diventano elemento voyeuristico nella focalizzazione del dettaglio, vittime di una società basata sul controllo, che le cattura all’interno del suo perverso ingranaggio, violando la loro privacy.
E se una zona in particolare è catturata dall’obiettivo del fotografo, la zona Tempio, un luogo ricco di tradizioni così come di contraddizioni – con una comunità d’immigrati di diverse culture e la presenza della linea ferroviaria -, è comunque Modena intera che viene messa sotto osservazione.
Una città che, secondo l’artista, si colloca “
tra le megalopoli e il nulla”, per poi essere proiettata con un filmato sulle pareti della Civica, in due versioni diverse: una in bianco e nero, che tende a scheletrizzare i contorni, dando l’aspetto di un disegno tecnico in lento movimento; l’altra a colori, dove le immagini diventano quasi pittura d’animazione, come se la città fosse dipinta.
Nei dittici fotografici, linee rosse perpendicolari sottolineano nell’inquadratura – esattamente come mirini – un punto indefinito, evidenziato nel momento in cui la visuale si restringe progressivamente. La persona braccata (una ragazza di colore, un uomo a torso nudo alla finestra, una donna con la borsa della spesa) diviene quindi preda, oggetto di minaccia da parte di un soggetto sconosciuto che arriva dal cielo, come a voler ricordare il senso di pericolo dell’11 settembre, pronto a monitorarla nei suoi spostamenti, alla ricerca del nascosto da scovare, come in un film noir. Lo spazio-città non permette dunque di nasconderci agli occhi di un potenziale osservatore dall’alto e di esser metaforicamente presi di mira.
Olivo Barbieri racconta micro-storie, soltanto per piccoli accenni ma lasciando intuire quello che potrebbe succedere. Una frammentarietà della visione che non è sempre chiara, poiché talvolta riduce l’immagine a pura
texture di forme quasi irriconoscibili, astratte. I dettagli non si combinano quasi mai con le vedute, alcune tessere vengono a mancare e la percezione del luogo conosciuto non si ricostruisce a colpo d’occhio.
Come afferma Antonello Frongia in catalogo, Barbieri compie un gesto sovversivo rispetto alla fotografia satellitare, rivoltando “
gli strumenti del controllo per ritrovare il gioco senza fine del pensiero per immagini”.