La mostra di ritratti, ospite in questi giorni nella residenza nobiliare che appartenne alle famiglie Malvezzi e Campeggi, è stata promossa dal Comune di Dozza in seguito al restauro e alla nuova attribuzione del Ritratto di Tommaso Campeggi con la sua famiglia proveniente dalla collezione Campeggi, da sempre conservato nel castello. Questo dipinto, faceva parte del corpus di opere di Pier Francesco Cittadini ed è probabilmente l’unico ritratto del seicento, in territorio bolognese ed emiliano, raffigurante una famiglia di dodici componenti.
Oltre alle opere di Pasinelli – di cui ricordiamo il Ritratto di una dama di casa Bentivoglio e la Giuditta con la testa di Oloferne che per affinità stilistiche hanno confermato la nuova attribuzione del ritratto di famiglia – i nomi spaziano da Annibale Carracci a Giuseppe Maria Crespi, includendo Tiarini, Creti, Burrini, Sirani e tanti altri, in un coro di voci che offre lo spunto per riflettere sul ritratto a Bologna nell’età post – carraccesca, in un momento in cui i generi pittorici vanno istituzionalizzandosi e precisandosi in base alla richiesta sempre più diversificata di una committenza che si estende a tutti gli strati della società. Da un primo momento in cui la pratica del ritratto era attestata ai livelli più bassi del fare pittorico, dove l’intento riconosciuto era quello meramente documentario di tramandare l’effige di un componente della famiglia, si passa ad un livello superiore della riflessione teorica. Il ritratto inizia ad occupare una posizione riconosciuta all’interno della gerarchia dei dodici ” generi ” pittorici proposta a Roma, sul principio del XVII secolo, dal marchese Vincenzo Giustiniani. Esso è collocato al quarto posto dopo i vari tipi di copie (statue, modelle altrui, modelli in posa) e prima della stessa natura morta.
Questa mostra, dalle proporzioni necessariamente contenute ha un fine mirato: attraverso esempi concentrati in modo particolare nella seconda metà del Seicento, in clima di consapevole restaurazione carraccesca, vuole dimostrare che l’esercizio della ” testa di carattere”, praticato con piena consapevolezza dai Carracci, si apre in direzione di una moderna introspezione psicologica, allontanandosi dal realismo del ritratto lombardo. La mostra ci fa riflettere sulla specificità della pittura bolognese, in questo caso del ritratto che tra il XVII e il XVIII secolo ha avuto un suo ruolo e una sua autonomia nel panorama artistico italiano. Il piccolo dipinto (olio su carta) che raffigura l’Uomo che ride di Annibale Carracci, posto ad apertura della mostra, documenta le attese dei tre cugini nei confronti dell’esercizio dal vero e di quella ricerca dei sentimenti e delle passioni, che successivamente i teorici del Settecento avrebbero chiamato “affetti”. Il termine ” testa di carattere” nasce molto più tardi, in Francia, sul finire del Settecento, quando negli inventari si parla di ” figure come il naturale” senza distinguere gli studi dal vero dai ritratti veri e propri.
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Cinzia Simoni
[exibart]
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