“Stare in casa è qualcosa di spettacolare” ricordava, già qualche tempo fa, Bugo, scapestrato cantastorie lombardo. E le tre artiste chiamate a comporre l’itinerario visivo di questa mostra sembrano conoscere l’argomento molto bene. I “giochi al coperto”, cui si riferisce il titolo del progetto, variano poi secondo le tendenze, le tecniche, ma soprattutto le tematiche scelte da ognuna.
Katharina Dieckhoff (Maastricht, 1976; vive a Bologna) non ha peli sulla lingua, e neanche sugli aghi, con cui produce i suoi ricami indecenti. Sui cuscini, sui pouf e nei quadretti a punto croce campeggiano le più spinte scene hard, quasi frame tratti direttamente da film pornografici. Lo spostamento, cui sono sottoposti questi “giochini erotici”, è di carattere mediale (l’immagine video contamina gli oggetti del quotidiano), ma va da sé che l’invadenza e la ricorrenza con cui questi compaiono allarga la loro fruizione, dal pubblico di settore a quello di massa. Non si tratta comunque di mancanza di stile, anzi le immagini hard-core così ri-mediate non hanno nulla da invidiare al popolo di oggetti del solito salotto borghese. La figura della donna è il minimo comun denominatore, il suo ruolo diventa invece fattore discriminante.
Negli scenari di Luisa Raffaelli (1960; vive a Torino) la donna, eterea ed impalpabile, viaggia libera attraverso illusori mondi paralleli. Si compone incessantemente di nuove identità, come un manichino intento a vestire personaggi sempre diversi, calati in contesti surreali. Il fotomontaggio, storico aiutante dell’immaginario, le consente di dare sfogo alla sua fantasia senza liberarsi del referente reale, mentre il ritocco digitale adduce l’effetto non-finito che le permette (più a torto che a ragione) di definire il suo lavoro pittura digitale.
E allora Omnia pictura vicit! grida il curatore dal testo redatto per l’occasione, che presentando Veronica Picelli (Desio, Milano 1981), indo(o)ra la pillola rifacendosi ad un fantomatico difetto d’origine dell’arte digitale. L’opera della giovane artista consta di una traduzione essenziale (iconica, dirà sempre il curatore) di alcune immagini ricorrenti nella computer culture: la chiocciola (@), la mela resa famosa dall’arcinota marca di personal computer, e persino i visi stilizzati dell’universo del manga cartoon. I pixel si fanno enormi e si materializzano in trompe-l’oeil sulla superficie del quadro, affermando per l’ennesima volta che la pittura vince su tutto e che anche l’ormai individuata e distinguibile estetica del digitale vi si debba inevitabilmente assoggettare… Non resta che sperare, a questo punto, nella pubblicazione di un necessario Manifesto contro i pittori che utilizzano il pennello come un mouse.
claudio musso
mostra visitata il 24 ottobre 2006
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Noto con profondo disgusto il dilagare di immagini porno di quà e di là con la pretesa di fare arte e di passare per artisti impegnati e di talento. Sarà, ma mi piacerebbe che qualcuno me lo spiegasse con convinzione e mi convertisse anche. Mi sbaglio se dico che l'artista è anche e soprattutto testimone del suo tempo? Il nostro, forse, è il tempo del "C". Lauta ricompensa a chi riuscirà nell'impresa. Parola di galantuomo.