Le rinascimentali torri di Babele si ergono nel vuoto metafisico di un tempo immoto e statico, giocattoli surreali e immagini dell’inconscio spuntano dai cassetti di mobili d’epoca, l’intensità dei colori si staglia sulla cupezza degli sfondi in una luce irreale. È il gioco dell’assurdo di
Angelo Palazzini (Casalpusterlengo, Lodi, 1953) esploratore dell’immaginario nonché esteta dell’introspezione.
La fantasia, l’enigma, l’ironia connotano il mistero che si cela dietro la convenzionale oggettività del mondo fenomenico, in un percorso artistico che muove dalla pittura metafisica di
de Chirico e soprattutto dalla poetica del “neoclassico” realismo magico di
Bontempelli.
La galleria Stefano Forni ospita
La magia del quotidiano, personale del pittore lodigiano che raccoglie le creazioni artistiche dell’ultimo periodo. Nel tentativo squisitamente surrealista di distruggere il tempo attraverso visioni oniriche e allucinate della realtà, Palazzini inventa scenari dell’ineffabile cogliendo con arguzia e profondità il senso magico del quotidiano. Ed ecco cassapanche in legno spiccare il volo insieme a stilizzati aironi lilla, blu e violetti in un cielo immobile o il dorato della
Torre degli aironi blu, che richiama la sontuosità e la luminosità del fiammingo
Pieter Bruegel, o gli aquiloni multicolori che si librano dalle finestrelle di una turrita piazza San Pietro e che celebrano l’
Habemus papam, o ancora la giocosa prova delle ballerine-damine del Settecento nel
Concorso per 2 posti di ballerina con comprovata esperienza d’archivio, tutte prese a volteggiare sulla scacchiera “bontempelliana” del comò salmone dai mille cassetti aperti.
Di particolare suggestione appaiono il gancio che si staglia nella notte fonda della
Natura morta al chiar di luna, che regge un groviglio di armadi, scale, credenze e la testa di un asinello sospesi nel vuoto, e l’inesorabile che investe la donna porpora de
L’ultimo spettacolo, sdraiata su un abnorme cavallo a dondolo dal quale fuoriescono le teste dei cannoni, su un inquietante sfondo dai differenti toni del purpureo e del bronzo. Può essere labile, infatti, il confine tra sogno e incubo.
Ricordi, pensieri, sogni e visioni che, ironicamente svelano l’incanto della fantasia nel suo incontro con l’imperturbabile e fredda quotidianità. Emerge nell’artista la spinta a sondare l’inconscio, il mondo onirico, l’universo simbolico attraverso l’estetica surrealista del paradosso, esplorando quel luogo indefinibile delle antinomie e del contrasto tra irrazionalità e ragione, tra illusione e realtà, apollineo equilibrio razionale e dionisiaca spontaneità vitale.
Palazzini costruisce dimensioni dell’assurdo, chimerici orizzonti iper-uranei, celebrando il mistero dell’illogicità. Parafrasando il Nietzsche di
Umano, troppo Umano, “
Sono solo gli uomini troppo ingenui quelli che possono credere che la natura dell’uomo possa essere trasformata in una natura puramente logica”.