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04
giugno 2009
fino al 19.VII.2009 Joan Mitchell Reggio Emilia, Palazzo Magnani
bologna
Colori che ricordano il Mediterraneo. Pennellate e dripping che fanno pensare a Pollock, rivisitato attraverso van Gogh. I dipinti dell’americana invitano a un viaggio all’interno del “secondo” Informale. Dagli anni ‘50 ai ’90...
Protagonista dell’Espressionismo Astratto americano e dell’Informale, Joan Mitchell (Chicago, 1925 – Vétheuil, 1992) è un’esponente di spicco dell’arte del XX secolo, in particolare per i suoi lavori eseguiti dopo il suo trasferimento da New York a Parigi. Palazzo Magnani le dedica un’ampia mostra antologica, che permette di osservare 46 opere, alcune di grandi dimensioni, già esposte alla Kunsthalle di Emden e che, a fine estate, saranno trasferite al Musée des Impressionnistes di Giverny.
Formatasi prima a Chicago, poi nella New York degli anni ‘50, Mitchell viene a contatto con il gruppo degli espressionisti astratti che ruotano attorno a Willem de Kooning e a Franz Kline, a Jackson Pollock e a Mark Rothko, tutti riuniti nell’ambiente della Cedar Tavern, e con i quali partecipa al leggendario Ninth Street Show organizzato da Leo Castelli, prima esposizione che decreta il successo mondiale dell’arte postbellica americana.
Alla fine del decennio il trasferimento in Francia, seguito da traumatiche vicende personali, segnano l’allontanamento della pittrice dalla sua terra natale e il radicamento nel Paese europeo, dove entra in contatto col gallerista Jean Fournier. Ma “nel momento stesso in cui Joan Mitchell va ad abitare in Francia, la forma del polittico la ricollega alla storia americana della pittura del dopoguerra” (Sophie Lévy).
A partire dagli anni ’70, l’artista si lascia affascinare dai dipinti di van Gogh e Monet, dando avvio a una ricerca sui rapporti cromatici, sulla dimensione dei dittici e sul rapporto con la natura che caratterizza le sue maggiori produzioni fino alla morte. Esemplari sono i polittici Les bleuets (1973), ma anche La Grand Vallée IX (1983-84) o Sunflowers (1990-91). Opere che dimostrano la coerenza di Mitchell, che da un lato si esprime nella perfetta assimilazione della gestualità pollockiana, della forza espressiva dei segni e delle grandi dimensioni che permettono ai quadri informali un livello di comunicazione istantaneo; dall’altro lato, richiamano colori e soggetti legati alle campagne francesi.
La mostra è introdotta da un pannello che illustra nei dettagli la vita dell’artista, i cui episodi hanno avuto grande rilevanza nella scelta dei suoi modelli formali. Se la disposizione delle opere segue un percorso approssimativamente cronologico, che permette d’individuare i passaggi stilistici della pittrice, il visitatore è lasciato solo di fronte ai dipinti, senza poter immaginare – e tantomeno osservare direttamente – confronti con altri maestri astratti e senza una didattica minima, che aiuti a inquadrare il movimento dell’Informale e i suoi significati.
Le frasi affisse alle pareti delle splendide sale di Palazzo Magnani non sono funzionali a istituire relazioni con pittori coevi, tra cui Emilio Vedova, al quale Mitchell sembra dedicare un omaggio in un dipinto degli anni ‘90, non casualmente intitolato Tondo.
Formatasi prima a Chicago, poi nella New York degli anni ‘50, Mitchell viene a contatto con il gruppo degli espressionisti astratti che ruotano attorno a Willem de Kooning e a Franz Kline, a Jackson Pollock e a Mark Rothko, tutti riuniti nell’ambiente della Cedar Tavern, e con i quali partecipa al leggendario Ninth Street Show organizzato da Leo Castelli, prima esposizione che decreta il successo mondiale dell’arte postbellica americana.
Alla fine del decennio il trasferimento in Francia, seguito da traumatiche vicende personali, segnano l’allontanamento della pittrice dalla sua terra natale e il radicamento nel Paese europeo, dove entra in contatto col gallerista Jean Fournier. Ma “nel momento stesso in cui Joan Mitchell va ad abitare in Francia, la forma del polittico la ricollega alla storia americana della pittura del dopoguerra” (Sophie Lévy).
A partire dagli anni ’70, l’artista si lascia affascinare dai dipinti di van Gogh e Monet, dando avvio a una ricerca sui rapporti cromatici, sulla dimensione dei dittici e sul rapporto con la natura che caratterizza le sue maggiori produzioni fino alla morte. Esemplari sono i polittici Les bleuets (1973), ma anche La Grand Vallée IX (1983-84) o Sunflowers (1990-91). Opere che dimostrano la coerenza di Mitchell, che da un lato si esprime nella perfetta assimilazione della gestualità pollockiana, della forza espressiva dei segni e delle grandi dimensioni che permettono ai quadri informali un livello di comunicazione istantaneo; dall’altro lato, richiamano colori e soggetti legati alle campagne francesi.
La mostra è introdotta da un pannello che illustra nei dettagli la vita dell’artista, i cui episodi hanno avuto grande rilevanza nella scelta dei suoi modelli formali. Se la disposizione delle opere segue un percorso approssimativamente cronologico, che permette d’individuare i passaggi stilistici della pittrice, il visitatore è lasciato solo di fronte ai dipinti, senza poter immaginare – e tantomeno osservare direttamente – confronti con altri maestri astratti e senza una didattica minima, che aiuti a inquadrare il movimento dell’Informale e i suoi significati.
Le frasi affisse alle pareti delle splendide sale di Palazzo Magnani non sono funzionali a istituire relazioni con pittori coevi, tra cui Emilio Vedova, al quale Mitchell sembra dedicare un omaggio in un dipinto degli anni ‘90, non casualmente intitolato Tondo.
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a cura di Sandro Parmiggiani
Palazzo Magnani
Corso Garibaldi, 29 – 42100 Reggio Emilia
Orario: da martedì a domenica ore 10-13 e 15-19
Ingresso: intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Skira
Info: tel. +39 0522454437; fax +39 0522444436; info@palazzomagnani.it; www.palazzomagnani.it
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