Quella di operare come agitatore culturale sembra essere la vocazione dell’artista sudafricano
Conrad Botes (Ladysmith, 1969; vive a Cape Town), che passa con identico piglio acuto e critico dai racconti a fumetti a opere uniche in tecnica mista su vetro.
Viene così presentata dalla Galleria L’Ariete di Bologna, in concomitanza con il Festival Internazionale del Fumetto 2009, la personale dedicata al pittore. Con un’ultima sferzata sovversiva, questo “
commentatore anarchico” conclude il ciclo
South Africa Trilogy. Bester Botes Schadeberg, approfondimento su una realtà lontana e spesso defilata.
Iniziata come divulgazione politica e sociale attraverso la fondazione della rivista indipendente “Bitterkomix” nel 1992, l’attività artistica di Botes sembra aver condensato negli anni la narratività pungente delle
strip in forme iconiche pop, rese immediatamente comunicative tramite la semplicità astraente del contorno nero e l’incisività violenta dei colori acidi.
Con un brulicare di simboli, l’autore racconta in modo ironico e dissacrante la complessa realtà sociale del suo Paese. Gli elementi che pone in atto rimandano a tragedie reali e a problematiche cocenti; ogni referente oggettuale interpreta un retroterra concettuale vastissimo. I conflitti armati e le incongruenze razziali sono così rappresentati proprio attraverso quell’ibridazione culturale che sembra emblematica dell’intero complesso statale: simboli appartenenti all’universo della comunicazione visiva americanizzata convivono sullo stesso piano con la forme della tradizione autoctona, e il sintetismo del linguaggio grafico si confonde con lo spirito dell’originario primitivismo locale.
Esemplificativo diviene allora
Voodoo, lavoro scultoreo che combina la valenza dell’altarino devozionale cristiano con quel senso sinistramente macabro e alle volte tragico dei riti della credenza popolare africana.
Ma non sono solo gli inquietanti Mickey Mouse, che da bravi animaletti cartonati subiscono tutte le più gravi amputazioni senza rimanerne turbati, o gli sfavillanti Richie Rich, sempre pronti a elargire i sorrisi più forzati, a incarnare l’Occidente e la sua tradizione visiva. Quello di Botes è, all’occasione, un finissimo lavoro di reinterpretazione dei grandi maestri dell’arte, come nella ripresa quasi pedissequa di una tavola da
I disastri della guerra di
Goya, trasformata nella serie intitolata
The big white sleep, espressione colloquiale diffusa e modernizzazione del motto “
il sonno della ragione genera mostri”.
L’ironia quasi cinica in sottofondo permette la denuncia, mentre la chiave fumettistica consente di mascherare la tragedia nell’irrealtà di personaggi vivi solo sulla carta. D’altronde, potrebbe sembrare che la vera perfidia derivi da un’entità molto più astratta e generica di qualsiasi stortura sociale circostanziale, se è il mondo stesso che, con fare malandrino, riesce a raggirare la morte, strappandogli il cuore prima che lei trovi lui.