La duplice natura artistica dell’animazione risalta con intensità di fronte alle pareti su cui sono ordinati i disegni dell’artista sanmarinese. Disposta non a caso sui due piani della galleria – nello scantinato i video, sopra i fotogrammi/disegni – questa personale di
Gianluigi Toccafondo (San Marino, 1965; vive a Milano e in provincia di Bologna), più che tentare di dare una visione d’insieme della sua opera, propone un’esemplificazione della tensione che intercorre tra il lavoro di composizione del singolo disegno e quello di montaggio narrativo dei fotogrammi. Una tensione che l’occhio del visitatore tenta di mediare di fronte alla successione di disegni tratti dal repertorio video, esposti attraverso soluzioni formali che destrutturano la lettura ritmica e narrativa.
Si svela allora, semplicemente, da dove nasce il potere dell’animazione, il campo video-artistico e video-narrativo oggi più creativo e indipendente, come sottolinea Goffredo Fofi: un lavoro di manipolazione degli immaginari e di trasfigurazione del visivo. In fondo, una mediazione simile a quella che l’autore opera quando deve animare i suoi disegni: ripresi uno a uno verticalmente su pellicola da 35mm e montati per dar vita a storie che si reinventano, guadagnando il movimento.
Il tratto, la pennellata parte quasi sempre da immagini che già esistono, da corpi e figure che si rianimano grazie alle mutazioni, alle metamorfosi che l’artista inventa, ed è sulla carta che rimane l’impronta e la mano artigiana. Quello di Toccafondo è fondamentalmente un dialogo tra immagini esistenti e immagini in potenza. Di più. L’artista dichiara il terrore per la pagina bianca, perché nulla si crea dal nulla, in particolare oggi, con la riproducibilità tecnica dell’opera che ha portato al bulemico moltiplicarsi dell’immaginario visivo, di cui il cinema – vera e propria espressione artistica del Novecento – si fa interprete e portavoce.
Proprio in questo senso, il cinema è la primaria fonte creativa e materiale dell’artista per operare le proprie manipolazioni. Lo sottolinea ancora Fofi, intervenuto alla vernice per presentare l’amico Toccafondo e la sua opera. Molti sono gli spunti offerti dal critico umbro, che sottolinea il particolare debito e l’influsso dell’immaginario marchigiano sulle storie raccontate – soprattutto in quelle più recenti, come
La piccola Russia (2004) – e la forte correlazione tra l’opera di Toccafondo e quella pasoliniana. In particolare, nel capolavoro del 1967
Che cosa sono le nuvole?, rappresentazione nella rappresentazione e al contempo reinvenzione di una storia preesistente, ossia l’
Otello di Shakespeare. Un lavoro rappresentativo in qualche modo dell’intera opera di Toccafondo, reinvenzione in quasi tutti i casi di storie già scritte e ricostruzione di un duplice livello narrativo, che si esplica attraverso un racconto ibrido e incestuoso.
Un’esposizione, quella bolognese, minima ma godibile. Non solo per le realizzazioni video, ma soprattutto per la proposta interpretativa del lavoro dell’artista.