Spazio Aperto dunque, stavolta, per una doppia personale di grande suggestione che coinvolge due artisti che utilizzano entrambi la fotografia: l’italiana Paola De Pietri (Reggio Emilia 1960) e il tedesco Elger Esser (Stoccarda 1967).
I due artisti dialogano felicemente tra loro; entrambi stanno conducendo, attualmente, una ricerca sul paesaggio mediterraneo, non quello canonico, soleggiato e ridente, ma piuttosto quello più intimo e nascosto delle rive fluviali: sono quelle della Marna e della Loira per Elger, quelle della Pianura Padana per Paola.
Condiviso dai due è anche l’utilizzo della fotografia a colori e l’attenzione particolare per la stampa, momento nel quale i due ottengono, attraverso il viraggio delle tonalità, di caricare le loro immagini di un’atmosfera di nostalgia e malinconia. In questo senso c’è qualcosa di estremamente certo nell’opera dei due artisti: essi, rimandando e suggerendo un approccio narrativo del paesaggio, insinuano nello spettatore l’illusione di un viaggio nel ricordo e nella memoria che si accompagna, quasi come reazione fisiologica, ad un sentimento di profonda nostalgia e di abbandono onirico.
Paola De Pietri
Ricominciare di nuovo dunque, ad osservare il flettersi dei rami e delle foglie di un albero, ora lieve e morbido, ora improvviso e violento; a scrutare i cieli per cercare gli stormi di uccelli neri che li solcano, e fermare nel ricordo quella massa scura che ora si dilata ora si comprime su se stessa in un fremito continuo.
Per documentare queste esperienze Paola utilizza una tecnica che le è cara: sovrapponendo fotogrammi di uno stesso soggetto realizzati in successione, l’artista riesce a fermare sulla pellicola movimenti e accadimenti quasi impercettibili all’occhio umano, ma che solo la mente riesce a registrare. L’effetto ottenuto non è altri che quello che gli impressionisti seppero fermare sulla tela.
Ma in questa mostra ci sono anche le nuove sperimentazioni di Paola.
Splendidi sono gli scatti agli specchi d’acqua nella nebbia: ne escono delle opere monocromatiche dalle progressive sfumature e con piccole, quasi accidentali, increspature. Opere minimali, descrivono la dimensione di uno spazio senza orizzonte, eterno ed infinito, nel quale un ramo alla deriva pare simboleggiare l’abbandono ed il sogno. Ed ancora la dimensione temporale viene indagata da Paola nelle foto di superfici ghiacciate che ora immobilizzano e cristallizzano frammenti vegetali (legni, foglie) quasi che il loro rifluire e riaffiorare fosse stato improvvisamente e magicamente fissato per sempre, ora rappresentano l’avanzata di un gelido velo di neve che prima rinsecchisce e inaridisce il terreno, e poi lo trasforma in una sorta di gas lattiginoso, quasi per un processo di sublimazione.
Esaltante questa nuova direzione intrapresa da Paola, che oggi sembra sempre rivolta a sintetizzare la sua ricerca in una nuova visione quasi astratta della Natura. Ma basterebbe leggersi lo storico contributo di Dora Vallier dal titolo “L’arte astratta” (Garzanti editore, 1984) per capire quanto distante sia la visione di Paola dall’astrattismo e quanto invece essa, accompagnandosi alle grandi correnti pittoriche del ‘900 indagate dalla Vallier, sia invece molto più vicina a cogliere l’immagine pura del cosmo.
Elger Esser
Non meno suggestivo è il lavoro di Elger Esser che in una sorta di riproposizione in chiave naturalista del Grand Tour, registra col proprio obiettivo paesaggi europei di pianure fluviali.
Cieli tersi, di un biancore irreale, fanno da sfondo ed esaltano le forme ondulate di vergini paesaggi orizzontali caratterizzati da alberi arbusti, sabbie e barene. Gli specchi d’acqua sui quali le rive si affacciano ne propongono un doppio che sembra realizzato a pastello, talora persino divisionista.
Virando i colori l’artista ottiene di riprodurre il procedimento mentale della formazione del ricordo, che tende a fissarsi su pochi elementi selezionati che si dispongono e si stratificano acquisendo rilevanza sugli altri, che invece tendono a sfumare e scomparire. Ecco dunque risaltare le sfumature del verde degli alberi e l’oro delle sabbie che si abbeverano alle acque si esaltano nel contrasto col cielo uniforme. Le prospettive sono rese unicamente dalle cromie, che in primo piano risultano distinte e decise, mentre allontanandosi sfumano fino a tendere, in alcuni casi, ad annullarsi nel cielo.
Tutto ciò non può che rimandare alle teorie leonardesche della sovrapposizione progressiva degli strati d’aria allontanando l’occhio dall’oggetto osservato. Esser ripropone una nuova e straordinaria stagione del vedutismo di origine italiana, riscoprendo la natura incontaminata tra la Marna e la Loira.
Ma anche Esser si dimostra personalità eclettica al pari di Paola proponendo, fuori catalogo, una nuova direzione di indagine. Si tratta di alcune grandi e sbalorditive vedute del centro storico di Matera. Promontori che sembrano aver assorbito tutto il sole del sud, agglomerati fitti di costruzioni che paiono essersi formate in causa dell’erosione del vento. Totalmente assente qualsiasi traccia umana (come pure nelle opere di Paola) per sottolineare la forte affinità del paesaggio urbano dei centri storici italiani con la natura che, invece di esserne violentata, ne risulta enormemente arricchita ed esaltata, come nei tetti e nei muri che seguono il dolce crinale dei promontori.
Una mostra tutta da godere questa di Bologna, a conti fatti forse la miglior prova del neo direttore della G.A.M., Peter Weiermair, vista finora.
Una nota critica all’orario della mostra: perché la sola apertura pomeridiana, tra l’altro non in linea con gli orari della stessa G.A.M.? Almeno nei giorni prefestivi e festivi un orario più ampio inviterebbe forse un numero maggiore di visitatori in uno spazio che, nonostante la sua bellezza, risulta già di per sé un po’ periferico e non accessibile dai disabili per la lunga scalinata. Si può fare qualcosa di più? Sennò, che Spazio Aperto è?
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