Il video principale che dà il titolo alla mostra
Lost it la ritrae su due diversi schermi intenta ad abbracciare per circa quattro ore un neonato fatto di ghiaccio. Man mano che passa il tempo, il bambino diventa sempre più piccolo, per poi scomparire completamente fra le sue braccia, lasciandola madida e infreddolita.
Liz Magic Laser (New York, 1981) presenta anche un altro video,
Feet, realizzato in collaborazione con
Felicia Garcia Rivera, che la ritrae sulle strade di New York con ai piedi due grossi blocchi di ghiaccio, sagomati internamente per assumere la forma di due scarpe a tacco alto.
Puro esibizionismo fetish o autolesionismo in stile body art? Forse un pizzico di entrambe le componenti. Liz sceglie infatti di comparire in prima persona, il suo aspetto è curato (le mani e le unghie dei piedi sono perfettamente dipinte con smalto rosso, gli indumenti sono sobri ed eleganti), i suoi movimenti sono lenti, studiati ma decisamente sensuali. Ogni particolare delle immagini è armonioso e le luci sono soffuse.
Liz sa di avere una telecamera puntata su di sé (e in
Lost it si intravede più volte l’operatore) e si muove con naturalezza fra teneri primissimi piani del viso che accarezza e bacia il suo “bambino” e inquadrature a figura intera, sdraiata, che mostrano il passare del tempo, simboleggiato dalla chiazza d’acqua che si viene ad allargare sul letto su cui l’artista e il bambino sono adagiati.
Liz Magic Laser offre tutto il suo calore al neonato, dando l’impressione che non si sia accorta della differenza tra quel bamboccino algido e un vero poppante. Il ghiaccio le provoca tremori e la inzuppa, ma lei continua a tenere a sé abbracciato il blocco di ghiaccio, quasi che abbia scelto di vivere indisturbata tra esseri viventi e cloni degli stessi. In un’immagine fotografica (
Pigeon #3 e
Pigeon #6), il piccione che Liz bacia è di ghiaccio e, accanto a esso, si trova un piccione vero. A entrambi riserva le stesse attenzioni. E ancora, in
Feet Liz fa molta fatica a camminare con i suoi “tacchi” di ghiaccio, ma continua come se nulla fosse, concentrata sul suo compito.
L’artista si ritrae in molte immagini del suo repertorio, mascherata con ghiaccio o con altri materiali lattiginosi o solidi che coprono o parzialmente svelano il suo viso e il suo corpo. Mostra anche persone nascoste sotto tende improvvisate fatte di rami e foglie, sempre nell’intento di trattare l’argomento del doppio, del parallelo che affiora e si cela in ogni momento, rivelandosi come lato “sinistro” freudiano.
Il clone, il doppio è sovrapponibile all’oggetto reale, ma è anche una maschera della realtà: un mezzo attraverso il quale i personaggi reali si celano e deviano l’attenzione dalla vera essenza dell’essere alla pura rappresentazione estetica.