Come simbolo di una travagliata storia d’amore, “
Erano
le sue rose, erano le mie rose”. E sono le
Rose Bianche di
Fantin-Latour, il motivo di una grande
scenografia, all’ingresso della mostra: un’opera del 1870, sintesi sublime di perfezione
pittorica, petali di luce che raccolgono il soffio della vita, nel percorso di
un mondo fiorito, di un Eden dove lo spirito si avvicina a Dio.
Sottolinea
Caravaggio:
“
Tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di
fiori come di figure”
,
cercando così di
ribaltare la gerarchia dei generi pittorici. Eppure, il
Maestro della Fiasca
di Forlì non
rivelò la sua identità, l’autore dei
Fiori in una fiasca impagliata, opera dal perfetto equilibrio
compositivo.
È il nucleo da cui muove il piano espositivo, che ospita
un secondo dipinto con una fiasca,
attribuito a
Tommaso Salini, o forse di Caravaggio. E una
moltitudine di fiori in brocche, vasi e caraffe, quelle dei numerosi pittori
caravaggeschi, del
Maestro della Natura morta di Hartford.
Antoon van Dyck,
Carlo Cignani, fra gli altri, sono gli artisti
di figura, che per arricchire la composizione utilizzano i fiori: un tema
sviluppato anche al femminile.
Ci sono opere di
Rachel Ruysch, di
Maddalena Caccia, di
Giovanna Garzoni, che dipinge opere d’una
sorprendente modernità.
Il dono, di
Marguerite Gérard, con un’eleganza d’insieme che sottolinea il
significato dell’omaggio floreale: è il 1876.
Poi, due lavori di
Giovanni
Stanchi, preraffaellita
che ama circondare i propri soggetti con squillanti ghirlande di fiori, e le
emozionanti opere
del
Maestro della
natura morta di Hartford, l’artista che Zeri identificò con Caravaggio.
L’Ottocento dedicherà ai fiori maggior attenzione e
Federico
Hayez regala il
Ritratto
della contessina Antonietta Negroni: fiori che sovrastano la composizione, per divenire una cascata
sull’abito della bambina; in terra, una peonia rosa, a dire che la vita – come
il fiore – svanisce.
Pellizza da Volpedo, prima del suo celebre
Quarto stato, propone una sobria figura
femminile: lo sguardo sospeso nel vuoto, un fiore in mezzo al libro, il
pensiero a un amore perduto.
È di
Pietro Bouvier il dipinto in cui si respira, pur in un giardino
di gigli e glicini, un’atmosfera di nostalgia, se non di morte. È
Ritratto
di Giulia Teresa Marenzi in giardino, in memoria di una fanciulla scomparsa. Un carosello di
opere grandiose. Ed ecco
Cesare Tallone,
Giovanni Boldini,
Giovanni Segantini. L’eleganza di una
Natura morta di
Giovanni De Nittis, l’evanescenza del suo
Mazzo di Crisantemi,
Paul Gauguin con i colori caldi di una
Donna
tahitiana e un
suo sorprendente dipinto con rose e astri. Poi,
Emilio Longoni e
Le capinere su un ramo fiorito, due giovani
suore incuriosite.
Odilon Redon e tre opere di
Claude Monet, con le famose ninfee del suo
giardino d’acqua: evoluzione di strutture reali, astrazione di bellezza.
“
Mi è mancato il denaro per pagare dei modelli,
altrimenti mi sarei dedicato completamente alla pittura di figura”: sono le parole di
van Gogh, che così ha dato forma a emozioni
pure, attraverso i fiori. Interpreti di una natura che è un tutt’uno con
l’uomo, di un’armonia che è quella dell’anima del mondo. Qui i suoi fiori sono
l’espressione di un cammino verso il glorioso linguaggio impressionista. In una
mostra che, nel suo intento storico e didattico, raggiunge l’eccellenza. Un
luogo “
dove niente di brutto può accadere”.