Per
Heimo Zobering (Mauthen, 1958; vive a Vienna) la struttura non è mai un’opera finita; si presenta sempre
in fieri, anche dopo che è stata posta e sembra poter essere definita come tale, in sé. Per l’artista austriaco, la struttura si deve sviluppare nel tempo, attraverso un processo che è assimilabile a quello al quale assiste un pittore che ottiene la giusta campitura di colore.
Così, sotto lo sguardo di Zobering, la Palazzina dei Giardini deve diventare un contenuto architettonico, un luogo predisposto ad accogliere una tonalità ben precisa (anche se inesistente) di blu. Un blu che avvolge, per svelare la parte ultima del progetto: l’arrivo della forma. Al di là delle pareti visibili. Costruire seguendo una struttura, allora, per l’artista austriaco
significa ricavare dai luoghi a disposizione la linea ideale di una figura geometrica
sensata, una mappa che acquista un linguaggio sul suo liminare, tra il passaggio e il definitivo arresto. Secondo questo procedimento, l’espressione più elevata di
senso si ottiene attraverso il raggiungimento e l’ottenimento formale di un contorno e di una sua conseguente figura. Andando più nel dettaglio: di un singolare e della sua necessaria rappresentazione geometrica.
Per Zobering il contorno deve presentarsi come un elemento isolante che coibenta lo scenario visivo, senza lasciare che esterno e interno s’attraversino direttamente (basti vedere il piano ironico usato nella retrospettiva di
Die Kunst der Enzyklopädie). Poco conta, dunque, che l’elemento usato siano i materiali ricavati da un’impalcatura quadrata, da un supporto tondo o da una struttura ovale; oppure che una sbarra o un sistema di sbarre autoportanti sostengano il teatro del concetto.
Quel che deve prendere risalto, invece, è la figura, che rimane isolata, seppur compresa, nel proprio contorno, come un mondo perfettamente chiuso. Un mondo che non ha altro mondo a disposizione se non il proprio riflesso proiettato. Come in uno specchio al contrario, nel quale chi si vede è posto dopo rispetto a quel che viene visto.
Secondo Heimo Zobering, dunque, anche in questa breve personale -mostra che porta come titolo il nome dell’autore, come una struttura che si auto-mantiene- si forma un movimento
propriocinetico. Una tensione che va dalla figura per riversarsi nella struttura materiale e viceversa. Con l’installazione
Blue box, le travi d’acciaio sostengono lunghe metrature di panno blu, creando una sorta di corridoio, al fondo del quale è proiettato un video-report di una precedente installazione allestita in una mostra nella quale, nuovamente, ogni supporto per le opere che aveva realizzato era stato dipinto in tonalità ciano.
Degna di nota anche la seconda videoinstallazione dove, in un gioco di silhouette e ombre cinesi, il mezzo video svela, attraverso frammenti mancanti, gli scenari di giardini inglesi, paesaggi appartenenti a una precedente performance dell’artista, avvenuta in Germania.
Una retrospettiva dal carattere affilato, fatta per chi non vuole fermarsi solo al già visto.