La presenza dei cani nell’arte non è certo una novità: si pensi ai pitbull di Liliana Moro (Milano, 1961) o alle foto di William Wegman (1943, Holyoke, USA) che ritraggono, sbeffeggiando la retorica della foto di moda, il suo cane Man Ray, abbigliato come un essere umano. Ma non è solo prerogativa del contemporaneo: chi non si è soffermato almeno un po’ con lo sguardo sul tenero cagnolino, acciambellato ai piedi del letto della Venere di Urbino di Tiziano?
L’invenzione della Galleria 42, dunque, non sta tanto nell’aver pensato ai cani come soggetto dell’esposizione, ma di avere individuato negli amici a quattro zampe i fruitori primi della mostra stessa. Non solo il buffet del vernissage era a base di crocchette e bocconcini, non solo una psicologa per cani sorvegliava gli animali per garantire una corretta partecipazione agli eventi, facendo accedere alla mostra una femmina per otto maschi, ma tutto l’allestimento è stato pensato a misura di cane. A partire dall’altezza dei quadri, che costringe l’accompagnatore umano a chinarsi per osservarli.
Di un’ironia squisita le opere che richiedono il diretto coinvolgimento degli animali, come Lecca lecca per cani, di Francesco Finotti (Bologna, 1973), realizzato con i filtri di carta del vino, capace di stimolare olfatto e gusto canini. Così come Pan per focaccia, work in progress di Alessandra Cassinelli (Milano, 1965), divorato già all’inaugurazione perché composto di “questi elementi urbani che i cani non vedono l’ora di masticare”. Altrettanto intrigante Terapia, di Benedikta J. Kier (Bolzano, 1969), lettino da cino-psichiatra sovrastato dallo sguardo di un lupo, l’istinto selvaggio del cane, esso stesso vittima di una umanizzazione forzata. Lirico, pur nella sua evidenza meccanica, Interno di cane, scultura dotata di movimento, in cui tra i brandelli di un cane di peluche fatto a pezzi, Daniele Milanesi (1964), scopre la profondità di un rapporto viscerale d’amore. Esilarante Il ciocco di Bobi di Matteo Soltanto (Bologna, 1972), grande amico del cane perché sempre indispensabile nel momento del bisogno…
Le opere figurative tradiscono in qualche modo il rapporto diretto con gli animali, rivolgendosi agli interlocutori umani e utilizzando i cani come vittime simboliche di una società superficiale e indifferente. Ciò accade nel disegno di Paolo Margherita (Napoli, 1970), in cui un randagio ha il muso completamente nascosto in un sacchetto dell’immondizia, entro un’avida ricerca di sicurezza in un ambiente fatto di emarginazione.
Soggetti: cani. Destinatari: cani. Artisti: cani? Non certo da un punto di vista artistico, ma sicuramente entro un’analisi delle dinamiche del mondo dell’arte contemporanea. Bau bau, con una brillante intuizione, denuncia il randagismo a cui sono condannati molti artisti di oggi, privi di un mecenatismo illuminato capace di proteggere idee e talenti, fuori dal circuito di tendenza. Emblematica dunque la cuccia-museo Guggenheim di Jörg Nittenwilm (Coblenza, 1967), in cui “finalmente anche il bassotto tedesco ha una cuccia ad arte”, dove anche un artista errante può trovare uno spazio per dar forma alla propria ispirazione.
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