Non solo il Canova incantevole e sensuale delle opere di carattere grazioso, tra le quali la
Ebe è senza dubbio uno dei capolavori di maggior successo. Ma un artista complesso e a tutto tondo, l’
Antonio Canova (Possagno, Treviso, 1757 – Venezia, 1822) che si trova esposto e iconograficamente approfondito nella mostra ai Musei San Domenico di Forlì.
La critica degli ultimi decenni ha riabilitato completamente il grande scultore veneto, tacciato fra la seconda metà dell’Ottocento e l’ultimo dopoguerra di freddo accademismo e sterile retorica. Proprio a partire dalle opere pittoriche, allestite accanto ai suoi più famosi capolavori, è possibile cogliere le molteplici tensioni che animarono il percorso artistico di Canova. Le sculture sono infatti spesso accompagnate da quei bozzetti e da quei dipinti che il maestro componeva per sé, dov’è facile riconoscere nel tratto ruvido e veloce l’appassionata visione che stava alla base delle composizioni più rifinite, dalle quali emerge, in questa prospettiva, una tensione tutt’altro che formale. È a partire da qui che la critica ha potuto rileggere Canova in chiave moderna.
La mostra parte, per un’esplorazione di ben più ambio respiro, dal patrimonio forlivese – città alla quale Canova era legato per committenze e amicizie -, che vanta tre capolavori:
la
Ebe scolpita fra il 1816 e il 1817; la misteriosamente scomparsa
Danzatrice con il dito al mento; la stele funeraria del banchiere Domenico Manzoni. Attorno a queste opere è costruito un ricco tragitto tematico, che si pregia delle opere provenienti dai maggiori musei internazionali, da Roma a Parigi e Londra, ma anche dagli Stati Uniti e da San Pietroburgo, i cui prestiti dell’Ermitage sono una grande occasione.
Contribuiscono alla piena fruizione delle opere per cui Canova è celebre e ammirato anche l’allestimento ben costruito, la chiarezza narrativa dell’impianto espositivo e una riuscita gestione degli spazi, spesso raddoppiati da specchi nei quali i marmi chiari si riflettono luminosi. Grazie a questi accorgimenti, nelle sale tematiche si possono godere intimamente la sospensione aerea e senza tempo della
Ebe, la tenerezza del bacio tra
Amore e Psiche, la grazia seducente della
Danza. Mano a mano che ci si allontana dalle opere di stampo eroico o celebrativo, l’ideale greco di bellezza appare reinventato e addolcito. Si dimenticano presto
Creugante e
Damosseno, i quali accolgono furibondi e imponenti il visitatore.
Ma la mostra forlivese non è esclusivamente canoviana. Attraverso la ricchezza degli accostamenti iconografici, è esplicitata l’influenza e l’ammirazione che il lavoro dello scultore veneto suscitava nei contemporanei e nella cultura artistica ottocentesca. Riferimenti costanti, in particolare, sono
Francesco Hayez, che fu allievo di Canova durante gli anni del suo soggiorno a Roma, e il piacentino
Gaspare Landi.
E talora è perfino più godibile l’allievo del maestro: come nel caso del tenero
Rinaldo e Armida di Hayez, dove l’appena sfiorarsi dei volti degli amanti è capace di esprimere ciò che la perfetta eleganza di
Adone e Venere non concede.