Nella Classe di Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Dusseldorf, Hilla e Bernd Becher diedero vita alla “Scuola di Dusseldorf”, una enclave di allievi fotografi, Candida Hofer, tra gli altri, Thomas Ruff, Thomas Struth… La tecnica consisteva nell’uso del banco ottico a grande formato, sempre usato dai Becher e tale da avere una qualità che consentisse di poter ingrandire notevolmente le immagini: una relazione col visibile, una resa ottica, di un linguaggio fotografico divenuto poi modello di riferimento di tanti altri fotografi, fino a incarnare una moda che s’impone nella sociologia dello sguardo contemporaneo.
Thomas Struth, dicevo, il fotografo cui MAST dedica una mostra dalle limpide, chirurgiche, vastissime icone, che irradiano luoghi della ricerca scientifica e dell’intelligenza artificiale, illuminati da luci totali e definitive, messa al bando programmaticamente la sia pur minima ombra. Luoghi inaccessibili e secretati, connotati da macchine la cui funzione è sconosciuta alla maggior parte di chi guarda. Tre considerazioni innanzi a tutto, e al cospetto di tanto gigantismo, la cui origine, in verità, è da ricercarsi nella superdimensione della comunicazione pubblicitaria dell’America, e nella sua pittura, che nell’Ottocento produceva quadri di paesaggio enormi. E sarà utile anche rammentare i primi fotografi americani della seconda metà dell’Ottocento, che andavano alla scoperta del paesaggio e costruivano macchine fotografiche a lastra di vetro del formato di 1×1,30m; una meccanica produttrice d’immagini a contatto in bianco nero di una bellezza, e di una precisione del dettaglio. incredibili: O’ Sullivan, Jackson, Gardner…
Thomas Struth – Nature & Politics – MAST Bologna
Del resto, in sintonia con tutto ciò, ricordo che un fotografo come Massimo Vitali, dedito alla vastità, sostiene di rifarsi alle tele di grande dimensione della tradizione pittorica italiana, e di non amare le ombre, tanto da fotografare in Estate il suo soggetto preferito, le spiagge, in ora zenitale. Tornando a Struth e alla mostra MAST, si tratta, quasi inutile dirlo, di fotografie digitali, spazzato via il banco ottico con lastra e pellicola, sostituite dai grandi sensori di più di 100 megapixel. Ora, chiediamoci cosa veda, il visitatore, in queste immagini di Struth. Tutto. Chi guarda è una sorta di soggetto passivo, che vive in contemporanea un’aggiunta e una sottrazione, nulla resta all’immaginazione sul versante visivo, ma tutto è nitido, stagliato, ben leggibile, e forse la fotografia farà scoprire perfino al fotografo qualcosa che durante lo scatto egli stesso non aveva notato. Nella perfetta coincidenza di soggetto e linguaggio della sua rappresentazione, se la scienza richiede l’analisi razionale del reale, la fotografia che ritrae i luoghi della ricerca scientifica è analitica e razionale. Un versante opposto a quello di un altro Maestro della visione come Luigi Ghirri, che, al contrario, usava il medio formato e mai il banco ottico, perché “fornisce troppi dettagli”. E’ chi guarda, sosteneva Ghirri, a dover completare l’immagine, dato che “quello che non si vede è più importante di quello che si vede”. Una posizione vicina a quella di Andrè Bazin: “il reale di un’immagine cinematografica è ciò che è fuori campo” (amorosamente citato da Alain Badiou, in Alla ricerca del reale perduto). Certo, del lavoro di Struth, e parafrasando Ghirri, si potrebbe anche dire che ciò che non si sa (la funzione delle macchine fotografate) è più importante di quello che si vede.
Eleonora Frattarolo
mostra visitata il 2 febbraio
Dal 2 febbraio al 22 aprile 2019
Thomas Struth, Nature and Politics
MAST via Speranza 42, Bologna
Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle 19
Info: www.mast.org