Forlì, la città in cui sono conservati i due teleri sacri dipinti per la Cappella di Santa Maria del Fuoco, celebra
Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna, 1601 – Vienna 1663) con una retrospettiva imponente e ben più completa di quella realizzata a Rimini quindici anni fa. L’ampia sede espositiva, recentemente ristrutturata, dei Musei San Domenico ospita un percorso monografico costituito da ben ottanta opere, di cui tuttavia circa la metà appartenenti ad altri artisti coevi. La mostra, realizzata dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, accende i riflettori su un artista troppo a lungo trascurato, offrendo ai visitatori il raro privilegio di ammirare un grande maestro del Seicento, riesumato dall’indiscriminata soffitta polverosa dei caravaggeschi.
Il percorso espositivo si snoda tra i saloni disegnando un itinerario di crescita artistica che prende le mosse dai primi fermenti sperimentali, legati al suo pattern ambientale, per arrivare, attraverso la contaminazione con il naturalismo del
Caravaggio prima e con l’idealismo di
Guido Reni poi, a un segno maturo e del tutto personale di persuasiva eleganza.
La nutrita presenza di ritratti femminili fanno di Guido Cagnacci prevalentemente un pittore di donne, che amava e riproduceva con ritualistica ossessione. Le varie figure storiche e mitologiche che si affacciano dalle sue tele non hanno atteggiamenti regali e imperiosamente divini, ma esprimono una sensualità complessa, dolente e malinconica.
La loro non è una presenza languida e seducente, benché carnalmente esibita, ma turbata dal dominio del sesso. Da quella forza ancestrale che tutte le donne sanno di possedere e che le rende vulnerabili prede di un dio capriccioso, volubile e incostante. Lucrezia, Cleopatra, Europa, Maddalena concedono la contemplazione delle loro forme con penosa ostentazione, esprimendo una sensualità inquieta, compulsiva e carica di infausti presagi. Immagini femminili cariche d’intensità e pulsante fisicità, custodi di un terribile segreto che fa di loro eroine moderne e profondamente consapevoli del drammatico giogo della passione.
Osservandole si ricava la sensazione che senza troppi traumi rinuncerebbero volentieri al loro antico prestigio, per qualche attimo per quanto avaro di profonda e intima felicità, in cui tutto possa placarsi: il dolore, i sensi, la storia.
Abile nello scandagliare gli abissi dell’inquietudine umana, l’artista romagnolo declama il suo stile in una rivisitazione moderna della vetusta tradizione pittorica, realizzando una felice osmosi di fremente densità fisica e di moderata spiritualizzazione. Dal punto di vista formale ne risulta una pittura ai massimi livelli di seduzione, sotto la cui superficie sinuosa pulsa un’atmosfera tangibile di palpiti e visioni.