La Galleria Civica di Modena presenta la prima personale nel nostro Paese dell’artista tedesca Katharina Fritsch (Essen, 1956). La Fritsch porta in mostra una serie di grandi serigrafie e alcune opere plastiche, realizzate tra il 1987 e oggi, legate all’idea di giardino. Le serigrafie propongono particolari di vegetazioni e immagini della sua città natale, Essen, cartoline di paesaggi quieti e gite al lago molto ingrandite e divise in sezioni, in verticale o in orizzontale, su cui è steso un velo di una cromia piatta. Al centro delle sale, inoltre, si stagliano statue che, secondo un procedimento già noto all’artista, sono depurate di tutti gli elementi caratterizzanti e ridotte ad archetipi dai colori piatti.
Nota in Italia soprattutto per i giganteschi ratti neri dalle code legate a formare un gomitolo che accoglievano i visitatori del padiglione Germania della Biennale di Venezia nel 1995, la Fritsch è un’artista dall’universo visivo ben riconoscibile. Il suo linguaggio è basato proprio su opere tridimensionali figurative, spesso rappresentazioni di animali, in cui l’esattezza e l’asetticità delle forme è in contrasto con un elemento perturbante. Temi che portano a un senso di spaesamento nello spettatore.
Si tratta per lo più di figure legate al sacro e alla morte, che la mancanza di particolari fa apparire come incomplete, creando una tensione e un senso di disagio. Elemento fondamentale dell’estetica della Fritsch è infatti il colore, in genere unico, che contribuisce fortemente a rendere aliene e conturbanti le sue figure.
La Palazzina dei Giardini, un edificio secentesco in cui dal corpo con cupola centrale partono due ali perfettamente simmetriche, pare un luogo perfettamente in sintonia con il linguaggio dell’artista tedesca. Ma stranamente le opere di questa mostra non sembrano innescare le contraddizioni di cui in genere il lavoro di Katharina Fritsch si nutre, quasi fossero state eccessivamente depura
Se la Santa Katharina completamente nera è levigata e seducente, essa non attiva però lo sconcerto di certi elementi alla Magritte (artista che unisce anch’egli un linguaggio essenziale a elementi surreali), con cui la Fritsch sa giocare molto più efficacemente. Né lo fanno gli innaturalmente perfetti ombrelli colorati misteriosamente levitati verso il soffitto, o un lucido serpente di un Eden che non inquieta abbastanza. Per questo l’opera più ficcante pare la Gartenskulptur in cui lo scheletro di due piedi con tanto di perone e tibia funge da memento mori trasportato in giardino: la parte del corpo scelta è agli antipodi del classico busto, a contrapporsi a tanta statuaria celebrativa. E nella loro scarnita freddezza questi piedi paiono stabilire un interessante dialogo con il florido torso femminile esposto in un’altra sala.
valentina ballardini
mostra visitata il 27 maggio 2007
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