Non molte mostre sono altrettanto efficaci e “rotonde”, quanto questa collettiva inaugurata durante Arte Fiera a Bologna. In “L’instabilità degli oggetti” vi sono tutti gli elementi che contribuiscono alla riuscita di un’operazione nell’ambito: la stretta correlazione tra le intenzioni del curatore, la scelta del titolo e la sua aderenza alle opere in mostra, la forte assonanza visiva ed esperienziale tra il luogo che la ospita e i singoli elementi giustapposti, nonché una copertura quasi totale dei media disponibili in un contesto che solitamente non accoglie l’arte, perlomeno non quella visiva: fotografia, pittura, installazione, video e audio, scultura… ma oltretutto ci sono riferimenti, sparsi ma ben inquadrati, alla letteratura, alla saggistica e alle “cose” dei nostri giorni.
Partendo dal contesto, si tratta della casa-atelier del sarto Remo Corradi che dal 2011 è sotto tutela del Ministero dei Beni Culturali grazie all’interessamento dell’architetto Daniele Vincenzi. Un cult per Bologna! Un ambiente di eccezionale fascino di cui si conservano anche gli arredi originali, progettato nel 1954 dall’architetto Enrico De Angeli oggi sede delle attività sartoriali di Cavallo Spose. Ed è proprio la titolare, Lorella Rita Cavallo, la prima rivelazione della mostra, generosa ospite con il pubblico anche nei giorni feriali con la sartoria in attività.
Questo è il terzo anno consecutivo in cui l’atelier apre alle mostre e aderisce al circuito Art City e la proposta del curatore Pietro Gaglianò raggiunge, come si diceva, risultati non solo estetici di considerevole efficacia. Già dal titolo, che annuncia la sorpresa che il percorso riserva: alla ricerca delle opere che appaiono disseminate negli ambienti pubblici dell’atelier – nelle eleganti cabine di prova, accostate agli antichi armadi – sin dall’ingresso che presenta i pannelli serigrafati dalle Decorazioni Villani, fino all’ultimo angolo del corridoio che porta alle stanze “private”, una volta abitazione dei Corradi.
D’ispirazione è stato “The Safety of the Objects”, il romanzo di A. M. Holmes del 1990, suggerendo al curatore il fil rouge tra gli artisti Bruno Baltzer e Leonora Bisagno, Emanuele Becheri e Grunewald, Luca Capuano, Daniele D’Acquisto, Davide D’Elia, Serena Fineschi, Laura Pugno, Alessandro Valeri.
All’ingresso tre delle immagini tratte dalla serie Forming di D’Acquisto, che introduce precisamente alla questione che la mostra indaga, circa il rapporto con/tra gli oggetti, la loro funzione, i legami possibili e la traccia ammirabile che ne resta. Ed è Impression 25.09.2014 di Becheri e Grunewald a sottolineare l’importanza degli intrecci, in questo caso tra le espressioni: il video è l’esito di una improvvisazione musicale sul film Ballet mecanique di Fernand Leger.
Muove a pensieri edificanti il dialogo che si crea tra gli interventi a parete di D’Elia e la matericità straniante della Fineschi, che si si inseriscono alla perfezione nel contesto; Valeri poi, con i suoi eloquenti It’s not a picture e It’s not a neon, accompagna concettualmente alle forme, meglio detto alla Form in progress della Pugno.
Poetica la serie Amen di Baltzer e Bisagno che fotografando al microscopio particelle di acqua benedetta guidano lo sguardo verso un altrove inesplorato, tanto da predisporre idealmente all’incontro con i raffinati interventi di Capuano, nel cuore dell’atelier con la serie Il liocorno di Lescaux.
Ne risulta una riflessione, che ogni visitatore può scorgere, sul ruolo enigmatico degli oggetti e sul loro molteplice valore. La visita infatti richiede un opportuno sforzo d’attenzione che consente allo spazio di essere apprezzato e alle opere di essere riconosciute, come tali nella loro funzione relazionale, per dirla alla Bourriaud. L’effetto di stimolante spaesamento è affidato tanto alla loro collocazione – accanto ad altri oggetti, quelli della quotidianità lavorativa dell’atelier, sul tavolo da taglio per esempio o in prossimità dei ricoveri per i tessuti – ma anche ai contenuti delle stesse.
I dieci lavori, ognuno con la precipua specificità, concertano tra loro, siano essi in serie o singolarmente esposti, a sottolineare un’esigenza fenomenologica di scardinamento della sintassi delle forme che apre alla possibilità di riscrittura e ad altre letture dei dati culturali.
Come suggerisce infatti Gaglianò, «tutte queste opere […] sezionano la natura dell’oggetto, che viene scomposto e modificato eludendo ogni tentativo di finitezza, l’oggetto passato attraverso l’arte cessa di garantire con la propria solida razionalità i confini dell’identità e del desiderio. Le opere rappresentano quindi le tappe di una sperimentazione del possibile, apparizioni che punteggiano lo spazio come inganni o come errori, come situazioni aperte, con un elemento comune nella condensazione di dimensioni tra loro apparentemente inconciliabili (nello spazio, nel tempo, nella tassonomia del visibile)».
Cristina Principale
mostra visitata il 27 gennaio
Dal 27 gennaio al 24 febbraio 2017
L’instabilità degli oggetti
Ex Atelier Corradi,
via Rizzoli 7 Bologna
Orari: lunedì – sabato dalle 10 alle 20 ultimo accesso ore 19.30