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Fino al 24.VI.2001 | L’iconografia dell’orante- La “personificazione” della preghiera tra Oriente ed Occidente | Ravenna, Museo Nazionale

di - 27 Aprile 2001

Come e quando nasce l’immagine dell’”orante”, che tanta fortuna ha nella rappresentazione artistica? Quali caratteristiche presenta e in quali termini si evolve nel corso dei secoli? A questi e numerosi altri quesiti tenta di rispondere la mostra allestita a Ravenna, negli ambienti del Museo Nazionale. L’evento espositivo ruota attorno alla celebre icona marmorea della “Madonna Greca” che, conservata nella Basilica ravennate di S. Maria in Porto e venerata come Patrona della città, la tradizione narra essere giunta prodigiosamente “in sul lito Adriano” (Dante, Paradiso, XXI,,121-123), l’8 Aprile del 1100. Il bassorilievo di marmo pario che, proveniente da Costantinopoli, rappresenta la Vergine in piedi in solenne atteggiamento di preghiera, invita a riflettere sulla rappresentazione dell’”orante” cristiano. La mostra attraverso tre corpose sezioni, che nel complesso offrono al pubblico la visione di 140 pezzi di notevole pregio e qualità, intende rintracciare i momenti salienti della genesi ed evoluzione nel tempo, di una delle immagini più cariche di suggestioni e valori antropologici.
L’antefatto figurativo affonda le radici in un tempo assai antico; il rapporto tra l’uomo e il divino costituisce da sempre uno dei momenti fondamentali della vita. E’ in tale contesto che assume particolare rilievo il valore simbolico della mano alzata al cielo in gesto di preghiera, quale segno della presenza dell’uomo. Questa immagine-personificazione della preghiera è diffusa fin dall’età precristiana, come intende mostrare la prima sezione dell’esposizione e con piccole varianti compare in tutte le civiltà del Bacino del Mediterraneo. Le mani aperte palesemente vuote, rappresentate su steli, monumenti, lastre, esplicitano il loro valore magico e apotropaico in tutte le possibili sfumature; ora indicano la totale fiducia che l’uomo ripone nella divinità, ora, in preciso rapporto con morti premature o violente, chiamano gli dei a testimonianza di un evento imprevisto, sottintendendo una richiesta di vendetta. Dall’immagine dell’orante, ben presente nella statuaria romana sulla base di modelli ellenistici, si giunge fino alla personificazione della “Pietas” che appare, sulle monete di età imperiale, quale figura femminile in atteggiamento di preghiera. Con il III secolo d.C. si entra nella seconda sezione della mostra che documenta ampiamente, come il primo Cristianesimo, teso a comunicare il suo messaggio di salvezza attraverso un linguaggio figurativo dalla forte valenza simbolica, recuperi segni culturali già noti investendoli di un nuovo significato.
La posizione assunta da Cristo sulla croce fa sì che il gesto dell’orante con le braccia aperte rivolte al cielo rinnovi la sua potenza semantica: il fedele in preghiera si identifica con il Salvatore che sulla croce, è vittima sacrificale, offerta per la redenzione dell’umanità. La cultura figurativa paleocristiana sviluppa una serie di significati attorno all’immagine dell’orante che sulla base di riferimenti vetero e neo-testamentari ora indica la salvezza già avvenuta (i tre fanciulli ebrei nella fornace, Daniele tra i leoni), ora il ringraziamento a Cristo per un miracolo (il lebbroso, il cieco), ora lo status beatifico dopo la liberazione dal peccato per giungere ad esprimere quasi esclusivamente la manifestazione della felicità nella Pace divina e nella beatitudine celeste. E’ nel segno della continuità che l’arte bizantina si pone rispetto a quella paleocristiana. Se già nelle catacombe romane la figuratività cristiana aveva adottato un linguaggio “signitivo” è nell’espressione artistica di Costantinopoli che questo processo di astrazione giunge al culmine. “Tutto è pieno di segni ed è sapiente chi da una cosa ne conosce un’altra” (Enneadi, II, 3-7). Le parole di Plotino, la cui speculazione filosofica è uno degli elementi fondanti l’estetica bizantina, ci accompagnano nell’ultima sezione della mostra. Nell’arte bizantina, che reinventa la figura umana in una presentazione del tutto smaterializzata, frontale, bidimensionale, su fondo a tinta unica, al fine di suggerire l’intellegibile piuttosto che il sensibile, l’immagine dell’orante con la carica concettuale e simbolica che la sottende, trova la propria ragione d’essere. A Bisanzio il tema ebbe fortuna soprattutto nella sua applicazione alla Vergine. Questa sezione della mostra, consente di verificare lo svilupparsi nel corso dei secoli di molteplici varianti e tipologie del soggetto, che si impone comunque, quale personificazione per eccellenza della preghiera; la Vergine è “colei che intercede” (Deomene appunto), che prega Dio per tutta l’Umanità. Alcuni pannelli didascalici accompagnano il percorso della mostra consentendo una più facile lettura dell’allestimento, mentre il catalogo, edito da Electa, presenta, oltre a splendide riproduzioni fotografiche dei pezzi esposti, la scheda delle singole opere e i significativi interventi scientifici di Angela Donati, Fabrizio Bisconti, Silvia Pasi, Alessandra Guiglia Guidobaldi, Andrea Paribeni, Clementina Rizzardi, Stefano Parenti, Giampaolo Ropa e Mara Bonfioli.

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Monica Cavicchi




“Deomene. L’immagine dell’Orante fra Oriente e Occidente”
Dal 25 Marzo 2001 al 24 Giugno 2001.
Ravenna, Museo Nazionale.
Ingresso: intero, £ 12000; ridotto, £ 8000
Orari: dalle 8.30 alle 19.00. Dal martedì alla Domenica. Chiuso lunedì..
Tel: Segreteria Organizzativa 0544-482777 Fax: 0544-212092


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