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fino al 25.I.2004 | L’idea di paesaggio nella fotografia italiana dal 1850 ad oggi | Modena, Palazzo Santa Margherita e Palazzina dei Giardini

di - 30 Dicembre 2003

Fin dai primordi, ai tempi di Nièpce e Daguerre , la fotografia fu anche e soprattutto fotografia di paesaggio. L’Italia, forte di una millenaria stratificazione artistica e di un territorio scandito da coste e pianure, Alpi e Appennini, ha costituito un luogo privilegiato per questo genere di fotografia. Con uno sguardo mai univoco, volto a documentare i resti di un passato remoto sempre affascinante, il pittoresco di una natura allora ancora trionfante, oppure il tessuto urbano in via d’industrializzazione. Gli oltre 300 scatti in mostra ripercorrono, in via dichiaratamente parziale (una mancanza su tutte, gli Alinari di Firenze), questo variegato panorama della fotografia di paesaggio in Italia.
Roma, tappa clou del Gran Tour settecentesco, è la naturale meta prescelta per queste prime sperimentazioni all’albumina e in calotipia di metà Ottocento e il fascino per i resti dell’antichità è un leit motiv che accomuna molti fotografi. Tra tutti, le vedute di Giacomo Caneva della campagna romana sembrano riprendere le parole di Poussin quando, pescato dall’erba un pugno di terra mista a frammenti di porfido e marmo, disse Eccovi, portate nel vostro museo: questa è Roma antica. Il paesaggio romano, tra documentazione e metafora, fu particolarmente amato anche da stranieri, come lo scozzese Robert Mcpherson.
Nell’Italia post unitaria, a fronte di un continuo miglioramento tecnico, la fotografia di paesaggio vide uno notevole sviluppo. Qualitativo e quantitativo. Particolarmente interessante è l’approdo alla fotografia di numerosi pittori, che utilizzarono il mezzo sia come fonte di studio –è il caso degli impressionisti o di alcuni macchiaioli, tra cui Signorini– sia come mezzo autonomo espressivo. Caso emblematico è quello diFrancesco Paolo Michetti, autore di poetiche visioni come Alberi a Saletta (1881). Un curioso uso del paesaggio è invece quello di Wilhelm von Gloeden, che lo utilizzò come sfondo di scene mitologiche al limite del kitsch. Di tutt’altra ispirazione i superbi lavori di Vittorio Sella, Francesco Negri e Mario Gabino, quest’ultimo testimone di una città che sale, tecnologica e fascista.
Nel dopoguerra il paesaggio cede inizialmente il passo ad altri generi, pur continuando il suo percorso verso la modernità. Paolo Monti indaga, tra realtà ed astrazione, gli scorci urbani, come quelli veneziani, in mostra. Mario Giacomelli volgerà il suo sguardo interiore al paesaggio marchigiano tramite ariose riprese che hanno la leggerezza di un disegno; Franco Fontana scompone invece il paesaggio in macroframmenti pulsanti di colore. Tra poesia ed antropologia, Mimmo Jodice ricerca nella serie Mediterraneo le radici di una civiltà comune, mentre Gabriele Basilico continua da oltre vent’anni ad indagare la realtà architettonica delle metropoli, ribadendo, se ce ne fosse bisogno, che la fotografia di paesaggio è un genere sempre attuale.

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L’idea di paesaggio nella fotografia italiana dal 1850 ad oggi
a cura di F. Maggia e G. Roganti
Palazzo Santa Margherita, Corso Canalgrande 103; Palazzina dei Giardini, Corso Canalgrande
mar-ven 11.00-13.00 e 15.30-18.30; sab, dom e festivi 10.00-18.30
ingresso euro 5, ridotto 2,5, giovedì ingresso gratuito
possibilità di visite guidate
catalogo Silvana editoriale
tel. 059.206919/11/40 fax 059.206932
galcivmo@comune.modena.it
www.comune.modena.it/galleria


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  • Mi sembra che la sezione contemporanea [quella alla Palazzina dei Giardini per intenderci] sia stata piuttosto trascurata: si parla solo di Basilico e Jodice padre, e Fossati, Guidi, Radino, Niedermayer per citerne che pochi altri che fine hanno fatto? La sezione giovani è stata invece del tutto ignorata, perché? Se era poco interessante non era meglio dirlo piuttosto che far finta che non esista?
    Perché? Perché?

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