Il senso comune le vorrebbe in netta contrapposizione, quasi inconciliabili. Arte e scienza: rigorosa, rassicurante, inconfutabile la prima; decisamente aleatoria, soggettiva e intuitiva la seconda. L’arte apparterrebbe dunque al regno dell’incontrollabile, la scienza a quello della verificabilità. Una visione obsoleta, che ha da tempo lasciato il posto a una prospettiva di progressiva e reciproca seduzione. Da circa un secolo, i due campi sperimentano una tensione dialettica che ne avvicina metodi, forme, intuizioni. La scienza s’è aperta al regno del caos e dell’imprevisto, l’arte ha rintracciato corrispondenze sotterranee con i processi che regolano la mente, la natura, la materia.
Matematica, biologia, fisica, astronomia rivelano frequenti relazioni con i criteri estetici di equilibrio, armonia, semplicità, ispirando a loro volta un gran numero di artisti impegnati in stimolanti pratiche di sconfinamento.
La mostra che inaugura i nuovi spazi bolognesi della Galleria Astuni sintetizza quell’approccio creativo al reale che si radica tanto nell’esperienza scientifica quanto in quella specificamente artistica. Freddezza analitica e astrazioni mentali si trasformano quindi in oggetti concreti, capaci di veicolare concetti, visioni, sensazioni.
Così è per la fotografia, che diviene inconsueta tecnica indagativa nelle immagini di
Christoph Keller. Distese nel tempo e nello spazio, le sue foto panoramiche raccontano un mondo allungato ed espanso, srotolato su una pellicola “trascinata” dietro il diaframma anziché esposta con un semplice scatto. Ha invece un approccio più oggettuale
Steven Pippin, abile costruttore di apparecchi ciechi, destinati ad autoingoiarsi, autofotografarsi, autorifrangersi, negandosi nell’atto ironico della propria impossibilità rappresentativa.
Le macchine analogiche di
Attila Csörgö assomigliano a teatrini mobili, in cui si compie una giocosa costruzione di geometrie effimere: strutture in legno, stringhe di cotone, tiranti, motorini elettrici compongono e scompongono solidi platonici, passando ripetutamente dall’ordine al caos.
Sono in qualche modo legate al suono le opere di
Nick Laessing, come
Elective Affinities, installazione che sfrutta la vibrazione di due diapason per disegnare sul muro un’ellisse in movimento, grazie al raggio laser che intercetta i due strumenti; o come la radio ricevente realizzata insieme ad
Athanasios Argianas, prototipo artigianale che richiama il funzionamento delle radio a cristallo di Galena.
È invece la luce al centro dell’opera di
Ursula Berlot, una lastra di plexiglas punteggiata di resina che, investita da un fascio luminoso, proietta incantevoli effetti ottici sulla parete. Imponenti e insieme effimere le due sculture tortili di
Tobias Putrih, oggetti mentali generati a partire dal disegno di un cerchio progressivamente distorto. Un’architettura dell’errore che prende corpo nella volumetria irregolare del cartone.