Sembra di entrare all’interno di una galleria newyorkese, invece siamo a Reggio Emilia. Per il nuovo spazio dedicato alle mostre temporanee, la Collezione Maramotti non rinuncia al rigore e alla raffinatezza, scegliendo un allestimento minimale, semplicemente perfetto, che unisce gli scatti di una grande fotografa di moda e del jet set internazionale, Roxanne Lowit, e quelli di uno psicoanalista che ha già esposto in gallerie e musei sia in Europa che negli Stati Uniti, Giuseppe Varchetta, presi durante l’opening della Collezione, insieme al testo di uno scrittore-saggista, Marco Belpoliti, per ragionare sul processo d’interazione tra opera e fruitore.
Due serie di opere complementari e nello stesso tempo molto diverse, che si guardano rispecchiandosi l’una nell’altra, completandosi in modo intrigante. “
Il processo artistico”, afferma
Roxanne Lowit, da sempre attenta a cogliere coi suoi scatti l’euforia di un momento, “
dall’ideazione dell’opera alla realizzazione fino alla sua scoperta, è intessuto di un’energia meravigliosa che continua a darmi stimoli e a motivarmi per riuscire a catturarla”. Nelle fotografie in mostra, rubate a un evento mondano, che giocano con ironia e divertimento a cogliere l’attimo particolare, si ritrova questa energia catalizzatrice e l’attenzione al modo in cui lo spettatore o l’artista interagiscono con le loro o altrui opere, posando come modelli o cercando di modificare la visione del loro lavoro con gli atteggiamenti del corpo, oppure ponendosi addirittura come un’alternativa.
Esemplare in questo senso la figura di
Ontani che si pettina quasi provocatoriamente davanti allo specchio di
Pistoletto. Lowit diventa quindi narratrice di un momento in cui i corpi stessi diventano
texture (o
pattern, appunto), fondendosi alle fantasie delle opere alle loro spalle.
Il bianco e nero di
Giuseppe Varchetta, al contrario, è più rigoroso e
silenzioso nel fissare uno sguardo rarefatto, che coglie le energie sottili fra i corpi dei visitatori che entrano in contatto tra loro e con le opere, come la meravigliosa barca di
Claudio Parmiggiani appesa nel vuoto, che con la sua presenza ingombrante sovrasta dall’alto. Varchetta, che di professione fa appunto l’ascoltatore, prende appunti attraverso lo scatto mentre “ascolta” in silenzio ciò che avviene in uno spazio denso di significati, quando entrano in gioco gli spettatori, che si materializzano a poco a poco come ombre lontane, visioni quasi assenti e poco percettibili davanti all’oggetto protagonista.
L’opera d’arte diviene quindi il vertice fondamentale della triangolazione autore-opera-visitatore, come sostiene Belpoliti nel testo di accompagnamento alla mostra. Che si sviluppa mediante due approcci differenti: l’uno più visuale e teatrale, in un certo senso, giocato sul colore e sul movimento, sulla
presenza effettiva; l’altro decisamente più filosofico, basato sull’
assenza e sull’ascolto.