Quello che rimane è qualcosa di diverso, non è mai solo il risultato o la memoria di un evento. È stata una tempesta, forse, a ridurre in frantumi e in schegge il mare di cristallo dell’installazione di Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943) che si incontra per prima negli spazi della galleria de’ Foscherari. Tutto è ormai immobile, silenzioso, calmo. Solo che adesso il mare è diventato solido, raggelato, rappreso in un incrocio tagliente di linee spezzate, e tiene imprigionata la catena dell’ancora appesa nello spazio soprastante. L’ancora stessa, invece, si è trasformata nell’elemento liquido, mobile, in equilibrio sulla distesa pericolosa di cristallo. Quello che rimane è qualcosa di diverso, attaccato a un nuovo presente che modifica la forma e aggiunge echi e significati: Così avviene anche per la catasta di libri bruciacchiati su cui sta poggiata la grossa campana di Campo dei fiori, installazione che ha aspettato le altre due sin dalla collettiva di Parmiggiani, Fabro e Calzolari, svoltasi tra la fine del 2006 e l’inizio di quest’anno. Non sembra possibile che dei libri, da soli, possano sostenere il peso della campana. Invece succede quando, passata la tempesta stavolta del fuoco, i libri diventano cemento e mattoni, si induriscono, si amalgamano. La memoria degli eventi resiste, ma riconfigura la materia e ricompone gli oggetti (quella serie di oggetti e materiali che, in diverse combinazioni, formano il vocabolario dell’opera di Parmiggiani) creando un nuovo senso del tempo. Più che scorrere, il tempo di Parmiggiani si raggruma intorno a nodi susseguenti di accadimenti e memoria.
Nella parte più interna della galleria (ma visibile in secondo piano già dall’inizio) sta Altair: una tela appesa alla parete, percorsa da una striscia verticale di fuliggine, sotto la quale si trova un’incudine.
Disegnare le ombre e i negativi degli oggetti col fuoco e col fumo, eliminando poi gli oggetti stessi, è una tecnica che Parmiggiani usa fin dagli anni Settanta, un modo, come lo ha definito l’artista stesso, di accelerare il tempo mostrando, appunto, quello che resta dopo gli oggetti. Ombra e memoria, in questo caso, della caduta di una stella che si materializza nella sagoma a due punte dell’incudine? O del gesto con cui sull’incudine qualcuno ha forgiato una forma tra le scintille del metallo incandescente?
Parmiggiani dimostra di nuovo in questa serie di opere una precisione della forma e del gesto che allontana qualsiasi deriva malinconica del passare del tempo. Allo stesso modo in cui le opere, create appositamente per questi spazi, si legano ad essi aumentando la loro forza visiva: mentre Campo dei fiori si trova nella parte della galleria in cui la luce naturale piove dall’alto e aggiunge il proprio peso a quello della campana, Altair è posta nel mezzo di una lunga parete, che oppone la propria orizzontalità all’andamento verticale dell’installazione. E Porto si trova contenuta tra tre pareti, che ne aumentano il senso di forza compressa.
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in realtà la chiave della personale è 'porto', il cui primo titolo recitava 'porto sepolto', come la prima poesia dal fronte di ungaretti, datata 22 dicembre 1915, e poi inserita nella raccolta 'allegria di naufragi'. l'ancora era il simbolo di ettore serra, curatore della raccolta per vallecchi.