Per godere della mostra che celebra il regista riminese a
50 anni dall’uscita del suo film più celebre,
La dolce vita, è necessario tempo, vaghezza e
allo stesso tempo amore per il dettaglio. La mostra curata da Sam Stourdzé
raccoglie, infatti, oltre 200 fotografie, 50 disegni autografi tratti dal
Libro
dei sogni,
centinaia di documenti, resoconti giornalistici, immagini televisive,
locandine, manifesti, diapositive, copertine, documenti e materiali legati al
lavoro del regista.
Una serie di schermi e proiezioni presentano estratti e
montaggi dei suoi lavori, accanto a nastri di prova, scene tagliate e
cinegiornali dell’epoca. Sono i resoconti, gli appunti, le testimonianze dello
stesso regista e dei suoi collaboratori, che costruiscono un percorso multimediale
gustoso e di grande impatto. Non per nulla la mostra ha registrato a Parigi,
dove è stata presentata al Jeu de Paume, oltre 450.000 visitatori.
È un mosaico documentario ricchissimo quello che
ricostruisce la vita, la carriera artistica, le attitudini e le ossessioni di
Federico
Fellini (Rimini,
1920 – Roma, 1993), il suo modo di fare cinema, di dirigere attori e maestranze
sul set. È un percorso espositivo e discorsivo che procede a spirale, in
maniera non cronologica, ma che racconta il regista attraverso i grandi temi
che lo hanno affascinato e influenzato. La cultura popolare – il circo, le
parate, le manifestazioni religiose – con i suoi protagonisti, quell’umanità di
volti che affollava i suoi casting, catalogati in un grande faldone verde
secondo tipologie del tipo “Uomini esotici”, “Donne sofisticate e funebri” ecc.
In quelle occasioni, racconta il regista, “
arrivavano tutti i pazzi di Roma
e con loro la polizia”.
Poi la rappresentazione critica del nascente sistema
massmediatico, attraverso la parodia, la manipolazione sarcastica dei nuovi
linguaggi delle comunicazioni di massa: il foto-racconto, la pubblicità, il
videoclip. E ancora, le donne e l’immaginario sessuale degli uomini di allora
e dei ragazzi “
affamati di sesso” ma “
bloccati e impediti da preti, chiesa, famiglia e
un’educazione fallimentare”. Da Giulietta Masina ad Anita Ekberg, ad Anouk Aimée, ai personaggi
femminili come la “Tabaccaia” – una “
grande quantità di donna” -, le prostitute, la “Volpina”,
la Sarghina e tutte le altre.
È attraverso il rimando continuo fra testo e contesto,
produzione artica e critica che emerge con vigore la figura di un artista
radicato nella cultura del suo tempo, profondamente innovatore, “
lontano
dalle critiche di conservatorismo o anti-realismo”, come sottolinea Vittorio
Boarini, direttore della Fondazione Fellini.
Infine, l’artista Fellini e il suo lavoro sul set e quello
in sala di doppiaggio. Una intera sezione dedicata alle
Magie del fuori sinc, curata da Tatti Sanguinetti e
Roberto Chiesi, ricostruisce attraverso un archivio sonoro di grande interesse
il rapporto che Fellini aveva con la voce, il doppiaggio, i suoni e le musiche,
mai in presa diretta ma fase ulteriore di riscrittura del film (dopo la ripresa
e il montaggio).
Ciò che emerge è un lavoro creativo complesso
e stratificato, interamente diretto dal grande regista.