Si dovrebbe confessare che, nella maggior parte dei casi, la visita a eventi di questo genere -quelli in cui si espongono i progetti protagonisti di un concorso- è piena di pregiudizi riguardo la valenza delle opere, la cura nell’allestimento e l’effettiva pregnanza culturale dell’esposizione stessa. Tutto ciò può essere messo da parte, se non addirittura cancellato, nel caso della rassegna in questione. Se, infatti, già due anni fa il Premio Fabbri aveva legato il proprio nome a quello di artisti di fama internazionale come
Ontani o
Mondino e di altri piĂą giovani ma altrettanto meritevoli (
Marco Lodola e
Omar Galliani fra gli altri), anche quest’anno conferma la propensione alla qualità .
Il numero degli artisti è stato ridotto, rimanendo comunque cospicuo, e si è aggiustato il tiro verso le cosiddette giovani generazioni. La costante nei lavori presentati è la tendenza a inglobare il tributo alla fantasia, ai colori, agli sciroppi Fabbri dentro la personale ricerca di ciascun artista. Un tentativo di annessione del marchio da un lato e un’affezione infantile dall’altro.
Il vaso simbolo della casa bolognese, con il tipico pattern bianco e blu, è perfettamente incastonato nell’opera di
Andrea Di Marco come parte dell’esorbitante rimorchio di un’ape car o nella catena di montaggio della fabbrica Fabbri attraverso gli occhi di
Matteo Bergamasco.
Antonio Riello quasi ingurgita gli stilemi di cui sopra, adattandoli con precisione a una delle sue armi, rendendo lo strumento di guerra innocuo e foriero di vellutata dolcezza.
Una sottile e a volte pungente ironia pervade le opere di
Vanni Cuoghi, che immagina una “dea dei frutti” dal cui capo sgorgano amarene, o di
Andrea Salvatori, con un drago goloso che si avventa con furia sul vaso pieno di sciroppo, o ancora in quella di
Giuseppe Rado, che gioca a nascondino con il concetto di specchio e di altro da sé.
Proseguendo nel percorso composto con garbo, ben illuminato e in cui ogni opera risulta protagonista, s’incontrano altri strani raggruppamenti tematici. Alla voce “scultura”, ad esempio, partecipano
Nero,
Michelangelo Galliani e
Giovanni Ruggiero. Ognuno col proprio spirito, ognuno diverso, ma uniti tutti da grande sapienza manuale e da un’acuta osservazione. Così, a seconda che si scelgano le serie di opere per stile rappresentato, per il mezzo utilizzato nella produzione o ancora per assonanza visivo-tematica, gli itinerari si moltiplicano e si incrociano.