Schifio Schitrio suscita imbarazzo. È il disagio del logos, che fondandosi sul principio di non contraddizione e di identità, risulta incapace di tradurre entro le categorie della logica la mitologia postmoderna di Cuoghi e Corsello (Monica Cuoghi, Sermide, 1965 e Claudio Corsello, Bologna, 1964). Il loro piccolo pantheon è un mondo underground parallelo, abitato da attori che non recitano mai solo la parte o del cattivo o dell’eroe. Nel video, la piccola Suf, apprendista graffitista che vuole arrivare ad essere suf-ficiente e che dichiara nell’acrostico del suo nome “Sono Un Folletto”, si trasforma in Schifio, coboldo nero, logo cornuto, demone che guarda dal vuoto delle sue orbite. Ma in fondo non sembra così maligno, e il terribile nome gli è stato affibbiato da un bambino disgustato dal suo aspetto. Appiccicato al vetro di un autobus, giunge al cimitero come un turista e si arresta dinnanzi alle tre tombe su cui è effigiata Suf, fluttuando come un ectoplasma. Per resurrezione, per reincarnazione o semplicemente per il potere della magia, Schifio si sostituisce a Suf, stampandosi sulle lapidi. La bambina ascende con la sua anima verso la luna. Tutto si trasforma, i contrari si fondono prendendosi gioco della loro apparente incompatibilità, il maschio diventa femmina in un processo dal sapore alchemico, il male è indistinto dal bene.
Nel susseguirsi dei fermo immagine dell’animazione in Flash si cela veramente il mito, inteso come racconto che produce continuamente significati, che accoglie tutte le aporie che si sentono nello stomaco, e che non è possibile sciogliere con la ragione. Schifio è bonario e goffo, prepotente e arrembante, luciferino e celestiale come un Angelo ribelle; Suf sale sulla luna come una Amalassunta, regina delle tenebre. Cuoghi e Corsello non si sono certo ispirati ad Osvaldo Licini ma, come l’artista marchigiano, hanno lucidamente aperto la porta ad un universo fantastico, che vive delle nostre stesse contraddizioni. Umane, troppo umane. Diceva Licini: “L’uomo è una buona iena con tendenza alla poesia”.
Solo le tre tombe si reificano nello spazio al di qua dello schermo del video: oggetti trovati nella fabbrica-casa, che è il primo luogo di incontro con l’immaginazione, dove le condizioni e l’ambiente si adattano alle esigenze vitali ed artistiche del duo bolognese.
Dove si attua quell’ergonomia della natura che si produce con le cose appropriate, adatte, calzanti. Quelle che fanno gridare Eureka! perché prodigiosamente si trovano al posto giusto nel momento giusto. Le tombe sghembe rimandano ad un’atmosfera gotica e decadente, nonostante il luccicare della loro superficie; la piccola Suf -i cui codini rigonfi ricordano il profilo del buon Mickey Mouse e l’ingenua sventatezza del Gatto Felix- vive in un mondo alla South Park (come suggerisce Monica Cuoghi), un universo mordace e cinico, dove si può morire ogni volta delle più atroci morti, per ritornare, sempre, alla prossima puntata.
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