Fotogrammi di paesaggi urbani e d’architetture postmoderne in trasformazione; momenti frammentari e rarefatti di convulse atmosfere metropolitane. Una fugace esplorazione della psicologia collettiva in una metropoli che muta in relazione a un contestatissimo evento storico: i Giochi Olimpici di Pechino del 2008.
S’intitola
Beijing il lungometraggio-documentario di 86 minuti realizzato da
Sarah Morris (Gran Bretagna, 1967; vive a New York e Londra) e presentato in anteprima mondiale negli spazi del Mambo. Decisamente eterogeneo e in linea con il concetto d’interdipendenza fra arte pittorica e cinematografica l’approccio dell’artista di origine inglese. Undici dipinti e un wall-painting site specific di oltre 30 metri completano la mostra
China 9, Liberty 37, dal titolo di un film western italo-spagnolo di
Monte Hellman.
Geometrie minimaliste e vivaci contrasti cromatici caratterizzano i dipinti compresi nella serie dei
Rings e degli
Origami, ricreati su tela utilizzando vernice lucida e brillante. Ipnotiche figure geometriche riprendono le sacrali composizioni cartacee della tradizione orientale, riproducendo continue illusioni ottiche. L’abbagliante policromia del gigantesco
Taurus, la celeste luminosità di
Moth e la conturbante antitesi del grigio perla, del nero e del giallo limone in
Rhino Beetle colpiscono la percezione visiva.
Il riferimento esplicito ai cerchi della bandiera olimpica e alle “
rings road” che contraddistinguono le metropoli tentacolari come Pechino connotano le tele intitolate per l’appunto
Rings. Tra queste spicca l’opera
1948, in un armonico connubio tra il viola, il turchese e il verde carta da zucchero.
La “
poetica del tempo” e l’“
astrazione cinematografica” connotano invece l’opera di
Seth Price (Gerusalemme, 1973; vive a New York). Indefinibile quanto affascinante nella sua indeterminatezza è
Redistribution, il video astratto
on-going, progetto aperto in continuo aggiornamento, iniziato nel 2007. L’artista israeliano innesta una sua “conversazione d’artista”, tenuta al Guggenheim di New York – in cui espone la propria personale concezione dell’arte, vista come risultante d’interconnessioni mediatiche -, a scene tratte dalla realtà virtuale.
Price apre inoltre inedite porte temporali, indagando l’inesorabilità del concetto di data per ogni opera d’arte con i suoi
Calendar paintings: stampe a getto d’inchiostro di calendari che hanno come sfondo riproduzioni di obsolete immagini pubblicitarie e di quadri poco noti di pittori americani degli anni ’20 e ’30.
La plastica, controversa “
promessa universale” del boom economico, costituisce uno dei materiali prediletti da Price. Tra le sculture
Vacuum formed – sottoposte cioè al processo utilizzato negli imballaggi industriali, denominato
vacuform – spiccano i criptici volti-fantasma delle maschere
Collapsed faces e le inquietanti corde sfilacciate e spezzate, imprigionate nel materiale plastico di ampie tele pre-stampate o dipinte con smalto per carrozzeria.
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si vede lontano un miglio che è una mostra che non importa a nessuno, prima di tutto a chi l'ha organizzata