Una ricerca costante e lineare quella di
Giovanni Manfredini (Pavullo nel Frignano, 1963), che torna a esporre nella sua Modena con una sorta d’inventario tematico del proprio lavoro, realizzato in dieci anni d’assenza. E che, per il suo ritorno, presenta in galleria un nuovo nucleo completo di opere su carta sul tema dei santi, riunite in una raffinatissima pubblicazione edita da Logos. Disegni rapidi e incisivi che investigano la scarsità della vita e del corpo, tematica da sempre amata dall’artista dell’oscurità per eccellenza. Carte che, con olio e pochi segni, riescono a mantenere lo stesso pathos dei grandi dipinti.
Macchie che diventano figure appena accennate nella drammaticità intensa che si sviluppa dalla figurazione, tra le luci e le ombre di gusto caravaggesco,
piante che lacrimano colature e che generano parole, a simboleggiare un mondo capace di rigenerarsi dalle brutture. Santi crocifissi, accoltellati, mani che si protendono nel buio portando spade e croci. Esistenza che si fa dramma di vita e che diventa possibilità e crescita, nel percorso accidentato degli uomini comuni. Santi per tutti i giorni e le occasioni, poveri cristi che, come tutti, cercano faticosamente di uscire dal buio, senza nome o una particolare iconografia, poiché rappresentano l’umanità intera, quotidianamente crocifissa. “
I santi siamo noi”, afferma Manfredini, per il quale l’arte deve rappresentare qualcosa di indubbiamente sacro, ma pure una santità laica, soltanto interiore; una sacralità del tutto orizzontale più che verticale, che anziché guardare verso l’alto guarda verso l’interno.
E, ancora, due struggenti autoritratti, uno in particolare a olio e nero fumo su tavola, con occhi fatti con piccoli specchietti, che ha i tratti del volto che ricordano quelli di un Cristo disegnato su legno. Non mancano i lavori di grandi dimensioni contrapposti alle carte: estasi, corpi, segni, deliri d’onnipotenza dell’artista. Una pioggia di simboliche teste, sassi di fiume ricoperti di gesso e garza bruciata col fuoco che sembrano crani e cervelli, si riversa sui corpi a olio dei grandi quadri, simboleggiando la pesantezza che si alleggerisce col sollevamento.
Di grande suggestione le
Estasi, serie nuovissima presentata per la prima volta. Materia che si plasma, forse pianeti o lune, giochi di luce e ombre, energia ed emozione, teste che volano, sospensioni di luce in cui traspare l’idea dell’uscita del corpo fuori dal cerchio, dimostrando contro i detrattori l’inizio di un nuovo, intrigante percorso e la capacità di rinnovamento.
“
Il dolore è bellezza”, scrive Manfredini in una delle frasi del suo libro. E se è vero che la sua non è monotona ripetizione quanto più un’“
ossessione minima” -come lui stesso la definisce- che lo perseguita nel tempo, è altrettanto vero che la chiave di lettura del contemporaneo è senza alcun dubbio un ritorno necessario alla sacralità. L’urgenza reale di riportare l’arte in quanto tale su un altare ulteriore e santificarla. Le sue
Sacre Scritture lo dimostrano in pieno. Cicatrici indelebili sul corpo, che raccontano tutto quello che è stato fatto nei personali inferi fin troppo umani di ciascun individuo.
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magnifico Manfredini!