La struttura stessa della Galleria Marabini, una ex chiesa che presenta ben evidente l’originaria suddivisione tra la zona dell’altare e quella dei fedeli, porta a situare inevitabilmente il fulcro dell’allestimento nel presbiterio. Qui, stretta tra due teche contenenti ciascuna una pila di monete, si erge una libreria, che reca, su quattro mensole, dodici lingotti marchiati con la scritta In gold we trust. Gli stessi lingotti sono stati distribuiti su quattro tavoli, in una ben articolata successione, interrotta soltanto da un vaso di rose appassite e dalla riproduzione scultorea di un braccio umano, col pugno chiuso e il dito medio reciso.
Una suggestiva penombra invade lo spazio espositivo e le pareti si impregnano di riflessi aurei; emerge così la più nota delle qualità estetiche dell’oro, il suo essere luce. Caratteristica che gli ha fatto guadagnare un ruolo di primo piano nell’arte dell’icona. Senza colore, etereo, quasi diafano, l’oro ha potuto trasmettere lo splendore della gloria divina e divenire espressione delle forze sovrasensibili.
Ma Pierandrea Galtrucco non si culla su ciò che l’oro ha rappresentato per l’arte cristiana e non. Lo espone sotto forma di lingotto, quindi come emblema del potere, quintessenza della reificazione del valore di scambio. La scritta In gold we trust approfondisce questa posizione, ricordando come l’uomo abbia professato un atto di fede, non solo nei confronti della divinità, ma anche verso il denaro. Con un’unica differenza: l’oro è del tutto inutile in un percorso di ricerca della verità. È semplicemente una delle tante convenzioni, istituite dall’uomo per mettere ordine nell’apparente caos del mondo.
Come scrive Denis Curti nel testo critico, “bisogni, affetti, desideri, contraddizioni, conquiste, giustizie e ingiustizie sono alla base dei lavori di Pierandrea Galtrucco” e in questa mostra, come in altre, ci si immerge “in un contesto di misurazioni”, numerazioni, reiterazioni.
Rimanendo in tema di conteggi e misurazioni, nel comunicato stampa si parla della presentazione di ben cento lingotti numerati, mentre, nella realtà dei fatti, se ne possono contare solo quaranta. Che fine hanno fatto i rimanenti sessanta? Sono in vendita, in eleganti cofanetti di metallo.
enzo lauria
mostra visitata il 28 gennaio 2006
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Mostra vergognosa.
Quando artisti non si nasce, inutile diventarlo.
Opera pedante, scoppiazzata e assolutamente superficiale.
Scusate la franchezza ma credo sia meglio dirlo.