Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
«Riconquistare una fruizione diretta con i frammenti del reale, sia del presente che del passato». Questo è l’intento che lega il lavoro di Maria Thereza Alves (San Paolo, 1961) a quello di Øystein Aasan (Kristiansand, Norway, 1977) secondo Lorenzo Bruni, che presenta i due artisti in una doppia personale a Bologna, ospitata dalla Galleria Enrico Astuni. La poetica del frammentismo non è certo una novità, ma quello che si registra oggi nelle arti visive è un forte ritorno di interesse per l’indagine sul reperto, in una sorta di “archeologia immaginativa” come la definisce Bruni, che incalza su come nella nostra contemporaneità si evidenzi un nuovo approccio verso «oggetti non appartenenti all’attualità, ma resistenti al passare del tempo, percepibili come arcaici e soprattutto come collocabili in una dimensione astorica. […] Questo per lo meno è quello che emerge dalle recenti opere di Jeff Koons che nel 2012 ha sentito il bisogno di esporre in un museo di arte sacra a Francoforte e di realizzare una versione moderna della “Venere di Willendorf”. La stessa tensione ha portato Damien Hirst ad incentrare la sua recente mostra a Punta della Dogana a Venezia su un video documentario del presunto ritrovamento in mare proprio di quei frammenti esposti nelle sale espositive rendendole, così, più simili ad un museo etnografico. Altri artisti tra cui Gabriel Orozco o Roberto Cuoghi hanno lavorato negli ultimi anni proprio concentrandosi sul tema del reperto come referto e viceversa.
Il Frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero, vista della mostra
Questi esempi appena citati, naturalmente, sono solo la punta dell’iceberg di una riflessione più complessa che ancora deve manifestarsi del tutto». E in questa direzione si muove anche Maria Thereza Alves, riflettendo nella sua ricerca sul senso della realtà che tutti i giorni viviamo e su quanto siamo effettivamente consapevoli di essa. I suoi reperti sono di natura biologica: sono i semi di specie vegetali che nella loro complessità e differenza testimoniano come il multiculturalismo connoti inevitabilmente il genere umano. Trasportati anche in maniera inconsapevole dai viaggiatori, questi possono restare inerti e a dimora nel terreno per quasi 600 anni, prima di perdere ogni loro funzione vitale. Nella loro riattivazione si dimostra il fallimento di ogni politica isolazionista. E Alves ce lo racconta prendendo a esempio l’Impero Cinese, nella grande installazione che ci accoglie all’ingresso dalla galleria. In un percorso fatto di immagini, di appunti scritti a mano e di disegni, per ogni seme ritrovato in un terreno nella provincia di Guangzhou (l’unico territorio dell’Impero in cui gli stranieri potevano risiedere per un breve periodo) Alves ne ricostruisce la provenienza e la storia di come esso sia arrivato in Cina e l’influenza che questi incontri hanno avuto sulla cultura locale. E questa ricerca sul seme è presente anche negli altri lavori esposti, nella serie di acrilici su carta intitolata Beyond the Painting / Unrejected Wild Flora, realizzata con piante spontanee raccolte a Berlino, e in Trough the Fields and into the Woods che invece riflette sulle contaminazioni vegetali della Roma antica ancora oggi visibili nella campagna laziale. Øystein Aasan si concentra sull’architettura e sulle sue geometrie, mediata attraverso l’intervento pittorico e scultoreo, e tradotta in un dispositivo per portare l’osservatore a interrogarsi sulla natura di ciò che sta vedendo. In Dispaly Unit (counter image) il modulo abitativo si destruttura, trattato come una scultura di Brancusi, e si riformula come un elemento decorativo, come un messaggio legato alla sua funzione di dimora, un concetto così attuale nella nostra realtà quotidiana. Chiude la mostra l’inserzione di alcune opere di Piero Gilardi, un omaggio al maestro torinese, che con i suoi Tappeti-Natura è stato un precursore di questa riflessione sull’idea del frammento e del dato naturale come portatore di significato.
Leonardo Regano
mostra visitata il 6 luglio
Dal 6 luglio al 28 ottobre 2017
Il Frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero
Galleria Enrico Astuni,
via Jacopo Barozzi, 3 40126 Bologna
Orari: lunedì – venerdì 10:00 – 13:00; 15:00 – 19:00 – sabato e domenica su appuntamento
Info: tel: 051 4211132; mail: info@galleriaastuni.net; web: www.galleriastuni.net