Marco Gastini (Torino, 1938) è figlio di un marmista. Questo sicuramente influenza le sue scelte di stile: ha da sempre vissuto con artigiani, tra materiali come la pietra e il legno. Il suo intento, in pittura come nelle installazioni scultoree, è sempre stato quello di creare una traccia minima con gesti minimi. Rompere la bidimensionalità e invadere lo spazio, coinvolgendo fortemente l’osservatore, che deve fisicamente percorrere gli ambienti occupati dalle opere, composte di materiali diversi liberamente disposti.
Gastini dunque prende in considerazione l’intero ambiente. E così l’osservatore si trova coinvolto in un sistema di pura arte concettuale, che si svolge attraverso la lettura delle pagine di un diario di memorie, appese lungo le pareti e gli stipiti delle porte di collegamento tra una stanza e l’altra. L’artista sembra creare dei capitoli che terminano ognuno con un rimando, un’anticipazione, al capitolo successivo. Un flusso di idee e di immagini attraverso l’utilizzo di materiali totalmente diversi tra loro: l’ardesia, il cartoncino, il colore spray e il rame, da sempre compagni di viaggio di Gastini, fin dai tempi in cui realizzava Scommessa a Siena, inondando l’intera città con le sue opere. Ora i lavori si limitano a pochi metri quadri, ma non mancano di invadere lo spazio, come un vento leggero capace di raggiungere gli anfratti più nascosti. Sono respiri di vita simboleggiati dal blu indaco e da un bianco madreperlaceo, che raccontano anche la carnalità, la madre terra, nei pannelli in legno e nei lunghi e contorti tubi di rame, metallo conduttore di energia e dunque simbolo di vitalità.
Il colore è steso in ricche pennellate, ma anche spruzzato con la bomboletta spray, che ha il potere di offuscare l’immagine d’insieme oltre che di fare lievitare maggiormente la scultura e di farla galleggiare, anche grazie all’effetto acquoso dei pannelli in plexiglas, che talvolta si sovrappongono alla tela o al legno.
In Arché (2005) e Apèiron (2005), Gastini, anche se lavora su tela e posiziona il quadro al centro della parete, focalizza l’attenzione verso l’esterno, limitandosi ad occupare la parte alta della tela con tutti i materiali a disposizione. Materiali che sembrano perdere peso, galleggiare nell’aria in assenza di gravità, come pianeti nel plastico di un cosmo. Analogamente, le macchie di colore che si trovano più al centro del quadro perdono equilibrio perché attirate come da una calamita verso l’alto.
Come Giovanni Anselmo con le sue pietre di diorite grigie e Giuseppe Penone con i suoi tronchi di frassino, anche Gastini sembra cercare la libertà dell’oggetto, che acquisisce così connotazioni altre. Taglia, modella, incolla, spruzza: come un paziente artigiano dimostra che il processo creativo passa ancora da un personale legame dinamico con la materia.
alessandra cavazzi
mostra visitata il 7 novembre 2006
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