15 maggio 2001

Fino al 29.V.2001 La tempesta del mio cor… il gesto del melodramma nelle arti figurative Parma, Palazzo della Pilotta

 
A Parma nel centenario della morte di Verdi una mostra che riunisce fotografia, pittura, scultura e cinema per illustrare il gesto drammatico nel melodramma...

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Le sale suggestive del Voltone del Guazzatoio nel Palazzo della Pilotta a Parma ospitano, fino a fine luglio, la mostra “La tempesta del mio cor”, la prima delle tre previste quest’anno per celebrare il grande compositore scomparso cent’anni fa.
Verdi, una figura intorno alla quale è stato costruito quasi un mito, nell’esposizione centrata sul gesto del melodramma rimane solo in sottofondo, a fare da filo conduttore di una mostra che attraverso quattro sezioni tematiche e l’esposizione di quadri, sculture, fotografie, litografie e trattati offre un affresco, l’immersione in un mondo di gestualità caricate e intense, di espressioni drammatiche di passioni forti, tanto più difficili da rendere con naturalezza quanto più il dramma si rappresenta lontano dal pubblico, ovvero sulle assi di un palcoscenico e non di fronte ad una telecamera. Il riferimento è alla quarta sezione, che propone un montaggio di spezzoni di film commentati, o a commento, di celebri arie d’opera, e si scopre non senza sorpresa che l’accostamento non è affatto stridente.
La prima sezione della mostra presenta ‘Il canone delle passioni’: vi sono raccolti trattati e repertori che illustrano, come degli studi scientifici, le espressioni umane, la mimica e la gestualità corporea, in relazione e a reazione delle diverse emozioni. La ricerca della rappresentazione corretta dei “moti dell’animo”, si sa, è iniziata molto tempo addietro, e il melodramma, con la sua necessità di rappresentare passioni forti secondo dei codici riconoscibili dal pubblico, e sottolineati dalla musica e dal libretto, è l’erede di questi studi. Sono Adelaide Ristori, Giuditta Pasta, Giovanni David, Napoleone Moriani a dare ora vita e corpo all’espressione dei moti dell’animo, e le foto di scena testimoniano la loro aderenza a questi canoni di rappresentazione.
Intorno alle bacheche delle foto e dei trattati si svolge tutta la teoria di quadri che rendono conto delle medesime passioni, trasferendole in opere la cui concitazione aumenta nella seconda sezione, ‘La passione in pittura’: amanti, tradimenti, la morte degli eroi e le gesta dei vittoriosi, il dramma della gelosia e il martirio patriottico… A raccontarci queste scene sono alcuni tra i maggiori pennelli italiani dell’Ottocento: da Hayez a Domenico Morelli, da Michele Rapisardi a Michele Cammarano, a Gaetano Previati, sfondando appena la soglia del nuovo secolo. Il mutare della sensibilità pittorica e artistica in generale modificò, con il Novecento, il modo di percepire queste passioni sul palcoscenico e quindi il modo di rappresentarle. Anche le opere mutarono: dal romanticismo storico, dalla ricostruzione – aimè spesso imprecisa – di ambientazioni medievali o rinascimentali, perfette occasioni per inscenare drammi dalle tinte forti, si passò con l’avvicinarsi del nuovo secolo ad una verità maggiore di affetti e di resa sulla scena, con le storie delle eroine quotidiane, di una Tosca o di Mimì…
Passando attraverso le “icone del Novecento”, cartelloni d’opera che conservano, almeno inizialmente, il ricordo dell’espressione delle passioni così come venivano rappresentate nel secolo prima, si arriva alla quarta sezione cui si accennava sopra, ovvero all’incontro fra melodramma e cinema.
Quando Verdi moriva il cinema muoveva i suoi primi passi. Nel corso del Novecento è stato proprio il cinema, come nell’Ottocento – almeno italiano – era il melodramma, a costituire il serbatoio dell’immaginario collettivo. L’ipotesi dei due autori, Galluzzi e Verde, che hanno montato una sequenza di spezzoni tratti da Visconti, da Bertolucci, da Pasolini e molti altri, prende corpo nello svolgersi delle azioni del dramma, nel fascino da ladro del giovane Delon, nella disperazione della Ciociara: altri gesti, altre passioni che però si esprimono con un codice sempre uguale, e che come in un film muto vengono sottolineate dall’incalzare della musica e del canto.
In tutto ciò, dispiace dirlo, a perdere è forse proprio la pittura. L’impressione di minore immediatezza che si ricava soprattutto da alcune tele, magari di notevole dimensione ma di non eccelsa qualità, imponenti nella loro ricostruzione dei costumi e delle stanze, dei corridoi, degli scaloni di palazzo dove si consumano le tragedie di un tempo che fu, ma bloccate nella rappresentazione di un solo attimo, congela lo svolgersi del racconto, limitando l’espressione ad un solo, muto “fotogramma” che non sempre riesce a concentrare in sè, come somma di momenti, tutta un’azione o tutta la forza del dramma che si sta svolgendo.
Ma del resto l’intenzione che emerge da questa immersione nel mondo del melodramma non è certo quella di presentare “belle opere” ma quella di ricreare un’atmosfera, quella di guidare lo spettatore a capire la genesi e a farsi catturare dal fascino delle “tempeste del cor”.

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Chiara Albonico




“La tempesta del mio cor. Il gesto del melodramma dalle arti figurative al cinema”
Dal 5 maggio 2001 al 29 luglio 2001.
Parma, Voltoni del Guazzatoio – Palazzo della Pilotta.
Ingresso: intero, £ 8.000; ridotto, £ 4.000.
Orari: dalle 9.00 alle 19.00. Chiuso lunedì non festivo
Tel: 0521-218967 / 0521-218889 Fax: 0521-231142



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1 commento

  1. BRAVISSIMA!! Molto intelligenti le tue riflessioni riguardo il rapporto tra cinema e melodramma ottocentesco; finalmente!!!!! Penso infatti che sia stato nelle intenzioni dei due curatori soffermarsi su tale sintonia. Molto bella l’idea di dare risalto alle passioni raccontate e suscitate da questa musica sconvolgente. Adesso è anche uscito un cd della ARTS con un inedito Capriccio per fagotto e orchestra e un Credo per tenore, basso, coro maschile e orchestra. Un unico piccolissimo appunto: meglio macchina da presa, e non telecamera.
    Ciao!

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