Mentre l’una, più introspettiva, si addentra nel fuoco delle proprie emozioni e dei propri ricordi, l’altro non vi si abbandona, resta sempre esterno ai propri lavori, protetto e nascosto dalla macchina fotografica, che si frappone tra lui e ciò che immortala. Tale distacco è sempre evidente negli oltre novanta ritratti che compongono la mostra: che si tratti di artisti contemporanei, galleristi, nudi o reportage, emerge sempre con veemenza l’impronta che l’artista stesso imprime ai suoi scatti. Prospettive insolite, tagli netti o talvolta violenti non fanno che ricordare il carattere oggettivo delle opere. La fotografia si fa opaca, ci riporta alla bidimensionalità dell’immagine, al suo carattere di prodotto. Benché la mano dell’artista emerga e determini ogni suo scatto, Andrea Cometta rimane esterno, il suo lavoro è il punto di vista di un fotografo che intende restituire un’immagine del mondo contemporaneo attraverso le persone che lo hanno vissuto e costruito. Il suo sguardo si riflette negli sguardi di chi immortala. Anche quando ci troviamo di fronte ad autoritratti (Autoritratto mentre urlo come una bestia, 1993), il Cometta che sta dietro l’obiettivo pare più forte e deciso di quello che invece posa.
L’oggetto, il mondo reale, risulta quindi fortemente connotato da chi lo costituisce. Come nel ritratto di Goran Bregovic che dorme rannicchiato su una sedia (1999) e, a pochi metri di distanza, all’agonia di Mil, il gatto dell’artista, sciupato dalla malattia (1997).
Completamente diverso è il discorso per Marilù Eustachio. I suoi ritratti sono impressioni, sono parte della spiritualità che solo una spiccata sensibilità femminile riuscirebbe a riportare in maniera tanto esaustiva. Ogni disegno su carta è contaminato di colori tenui che ne marcano i tratti salienti, e le identità di noti personaggi, siano essi reali o meno, o di posti e località caratteristiche, vengono come dissolte in calde nebbie di colori, degradano fino quasi a divenire irriconoscibili. E’ come se la realtà, per essere trasposta su carta, dovesse prima subire un processo di interiorizzazione in cui l’artista diventa l’opera e l’opera l’artista. Più che simboli della nostra epoca, Kafka, Woody Allen, Parigi, e poi ancora Arlecchino o Batman, paiono oniriche sensazioni dell’artista.
“Guarda attentamente dentro quelle ombre, e afferra ciò che potrà servirti nella vita”, scrive Esutachio in una della tante pagine dei taccuini, esposte in mostra oltre ai disegni su carta.
E sono proprio questi ad indicare maggiormente il carattere riflessivo dei suoi lavori, poiché non vi è forse arte più riflessiva e speculativa della scrittura. Tra le pagine dei suoi diari essa raffigura con colori a olio, acquerelli o inchiostro, attimi di vita, luoghi o persone da lei amati, accompagnando spesso le immagini a suggestivi appunti (“Forse non sentirsi solo significa sentire la pienezza de proprio essere”, taccuino 34). In questo atteggiamento possiamo ritrovare un significativo parallelo tra il lavoro della Eustachio e quello di Cometta. Come la prima trascende il carattere effimero delle sensazioni, immortalandolo nei suoi taccuini, anche per Cometta la fotografia si rivela un mezza per andare oltre.
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mostra visitata il 25 marzo 2005
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