Su questa tesi suggestiva, Marco Senaldi, non il più trendy ma tra i più illuminati critici italiani, ha elaborato una teoria e ci fatto una mostra.
L’ispirazione può provenire da opere d’arte del passato, ma anche da immagini popolari, prodotti di mercato, oggetti d’uso quotidiano: Cover Theory dimostra come la cover sia elemento ricorrente nell’arte contemporanea.
Il remake è una scommessa per l’artista e nasconde spesso profonde implicazioni concettuali: sempre tuttavia, esso innesca un meccanismo di dialogo tra artista e
La rivelazione dell’originale può essere immediata o progressiva, incombere senza manifestarsi.
Così, nello splendido contesto delle Officine della Luce, architettura industriale inaugurata nel 1929 su progetto di Portaluppi, muovendo dalle celebri cover di Paolini dedicate a Lorenzo Lotto, gli Eredi Brancusi volgarizzano Duchamp e cancellano Rutger Hauer da Blade Runner, Bertozzi e Casoni trasformano la Merda d’artista di Manzoni in un centrotavola trash, la tela di De Pascale, che ingigantisce il borotalco Robert’s, è la
La mostra non prescinde dal catalogo, che è cover esso stesso, ricalcando la grafica della collana Materiali, pubblicata da Feltrinelli tra il 1964 e il 1982. Avvincenti e di ampio respiro, i saggi sono, tra gli altri, di Senaldi, Zizek, Carmagnola, Coupland e Tiziano Scarpa, protagonista con Raul Montanari di un applauditissimo reading durante il vernissage.
Convincente ed originale, il progetto ha dei punti deboli. Come nell’ultimo suo libro (Enjoy, Meltemi Editore, Roma), Senaldi mette troppa carne al fuoco, finendo per diluire le geniali premesse del suo lavoro. Un ventaglio cronologico meno ampio ed una selezione più rigorosa, avrebbe forse prodotto un risultato migliore. Nuoce alla mostra anche l’allestimento, studiato per esaltare le opere innervate nelle strutture industriali e stravolto dalla… ASL, a poche ore dall’inaugurazione, con l’imposizione di un recinto di pannelli bianchi di sicurezza.
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