Come fa a mescolarsi un arcobaleno
alla ruggine? La risposta è nei lavori di
Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna, 1991) e
Niki
de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine,
1930 – San Diego, 2002). A Bologna più legati che mai.
È il 1960 quando inizia la loro pluriennale
collaborazione all’interno del gruppo dei nouveaux réalistes. Ciò che verrà
fuori da questa straordinaria fornace creativa è un ironico mondo di oggetti
che, dopo la Seconda guerra mondiale, rivendicano la loro brutale e pesante
presenza nell’arte, contro la supremazia acquisita dall’Espressionismo
astratto.
Le sculture laccate dai colori
sgargianti di Niki de Saint Phalle, presenti in galleria, sembrano flessuose
figure appena uscite dall’immaginazione di un fantasioso figlio di
Gaudí, che ha creato un buffo
animaletto col pongo. O, ancora meglio, stravaganti prodotti confezionati dalla
Lego, la cui plastica è stata fusa e ricreata ad arte. Fiori, uccelli e draghi
simbolici che si solidificano nel passaggio da un sogno psichedelico alla
realtà, tramutandosi in oggetti.
Insieme a queste opere, gli
schizzi scoppiettanti di vitalità di Tinguely, degni di una festa circense,
segno della profonda influenza della sua amata. Sono bozze, appunti, progetti e
divertenti lettere utilizzate come anteprime delle sue future macchine
“celibi”.
Rottami arrugginiti che, assemblati, diventano assurdi marchingegni
dalle sonorità metalliche, memori delle operazioni di
Duchamp e di
Schwitters, i cui movimenti senza scopo ironizzano
sul mondo dell’industria e del consumo.
Ma anche reali premonizioni di un
mondo futuro che presto sarebbe stato invaso dai suoi stessi scarti, nella
logica dell’usa e getta. Non a caso, questo è stato il tema di una mostra a
Palazzo Strozzi nel 2006, intitolata
Rifiuti preziosi, dove appariva anche la coppia
.
Due artisti che
dovrebbero esser ripensati anche come eroici paladini di una politica per la
salvaguardia del pianeta e ottimi operatori di riqualificazione urbana.
Seguendo le tracce dei reciproci scambi, è affascinante
la macchina celibe al centro della sala, dove i colori delle lampadine entrano
come un virus muliebre in quel turbinio di rifiuti da sfascia-carrozze, che
accompagnano il visitatore con il loro lento incedere e il sibilo inquieto.
Per chi volesse rimanere ulteriormente incantato dalle
architetture ferrose di Tinguely, la Galleria Arte e Arte anticipa la presenza
delle sue opere anche nel proprio spazio ad Arte Fiera, per la quale fervono i
preparativi in città.
Emblematico risulta il simpatico serpentello di Niki de
Saint Phalle, sorretto da un piedistallo con molla del compagno, proveniente da
chissà quale robivecchi, che per l’occasione assurge a simbolo e suggello del
loro amore.
Peccato per l’assenza di
didascalie, supplite comunque dall’agevole brochure che può guidare la visita.