Reti fitte, fittissime, ibride e complesse attraversano la collettiva inaugurata a Palazzo da Mosto per la nuova stagione del contemporaneo della Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia. Un progetto di Marina Dacci, curatrice del Max Mara Art Price for Women, “La vita materiale: otto stanze, otto storie”.
La vita materiale, ossia la vita esteriore, sociale, gli oggetti e i materiali del quotidiano di Chiara Camoni (Piacenza, 1974), Alice Cattaneo (Milano, 1976), Elena El Asmar (Firenze, 1978), Serena Fineschi (Siena, 1973), Ludovica Gioscia (Roma, 1977), Loredana Longo (Catania, 1967), Claudia Losi (Piacenza, 1971) e Sabrina Mezzaqui (Bologna, 1964), scorre per otto stanze, ciascuna sigillata da un titolo, portatore di un messaggio intimo, trasparente come un velo.
Nel dipanarsi della vi(t)a materiale è la vita interiore, il substrato invisibile ed impalpabile ad emergere e brillare. Legare la materia all’invisibile, il vissuto impercettibile che spesso è frastagliato, liminare e lirico con la chewing-gum (S. Fineschi), la fibra di cellulosa (S. Mezzaqui), la seta (C. Camoni) e il vetro di murano (A. Cattaneo), in una danza fluida come l’andamento di una farfalla, ma incandescente come la puntura di un’ape (L. Longo).
Scandagliando l’esperienza interiore di matrice Sartriana, che ricuce il legame tra coscienza del sé e idea di progetto, si giunge all’immagine, infine all’esperienza. Il corpo diviene forma, la forma residuo, il residuo sublime difetto, il difetto distruzione che ridiventa corpo. E ancora, ciclicamente o con moti ondivaghi e traiettorie rettilinee. Il corpo emozionale come linguaggio, come paesaggio, come tempo, come materia in equilibrio. Nell’esercizio costante della disciplina e simultaneamente del gioco, con ripetizioni precise e brusche manovre.
Sabrina Mezzaqui, Fare fiori
Un’arte perciò della messa in forma che avvicina l’operazione condotta nel “La vita materiale” con le tematiche dell’antologica di Palazzo Magnani dedicata a Jean Dubuffet, mago/scienziato di un’arte che insiste sull’emergenza della figura umana (Y.A. Bois). Come Dubuffet, raffinato collagista e Bricoleur subculturale del quotidiano, “graffittaro” Ante Litteram e strenuo “effimerista”, le otto artiste si cimentano con l’imperfetto, l’embrionale, l’informe, creando Environment, universi aperti e toccanti, attraversabili istintivamente da destra a sinistra, dall’alto in basso, zigzagando in un vortice ora rapido ora lento di sguardi e movimenti. Le potenzialità di fruizione si estendono all’infinito: non esiste un centro, solo un portale d’accesso. La struttura metallica realizzata con striscioline di cotone colorate, What My Shape Says – Cosa dice la mia forma (2016) di Claudia Losi, accoglie lo spettatore in un perfetto rifugio, una “proto-capanna” di corpo e anima, mentre il velario Vespertine (2006) di palette in plastica di Elena El Asmar incornicia una porta d’accesso alla mostra, celebrando l’incipit dell’azione e lo spettacolo gioioso della materia. Se si smarrisce la strada si può sempre far ritorno alla sorgente: Fare fiori (2017) di Sabrina Mezzaqui, il grande albero custode silenzioso di un discorso personale e insieme collettivo.
Petra Chiodi
Mostra visitata il 16 novembre 2018
Dal 17 novembre 2018 al 3 marzo 2019
La vita materiale. Otto stanze, otto storie
Palazzo da Mosto
Via Mari 7, Reggio Emilia
Orari: venerdì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 19.00
Info: palazzomagnani.it
Nella foto in alto: Ludovica Gioscia, installation view