Si sa che la storia raccontata dai manuali, anche dâarte, non rispecchia fino in fondo la realtĂ dei fatti: talvolta per interessata malafede, tal altra per eccesso di zelo o dâintellettualismo. Conoscere le veritĂ dei protagonisti è invece unâesperienza impagabile. Ed è quello che capita con la retrospettiva bolognese di
Bernd (Siegen, 1931 â Rostock, 2007) &
Hilla Becher (Potsdam, 1934), che raccoglie oltre centocinquanta scatti dei fotografi tedeschi, non cosĂŹ spesso in mostra in Italia.
Le sale centrali dellâistituzione bolognese ospitano, infatti, con un allestimento semplice e asciutto, una scelta interessante del lavoro dei coniugi che furono tra gli
scopritori della fotografia concettuale, in particolare dellâapproccio seriale che ha rivoluzionato lâarte negli anni â60 e che ha in qualche modo anticipato il minimalismo. Si possono vedere cosĂŹ una quindicina di differenti
Typologien, che spaziano dai serbatoi di gas alle torri di raffreddamento, dalle torri di estrazione alle fornaci.
Le modalitĂ di ripresa e le inquadrature sono standardizzate, rese anonime o, meglio, oggettive, grazie a una procedura che mirava a documentare lâesistenza di esemplari inscrivibili nella categorizzazione di edifici e costruzioni industriali, in una modalitĂ non dissimile da quella adottata da uno studioso di entomologia che raccoglie testimonianza della varietĂ di soggetti appartenenti alla medesima specie. La grande invenzione dei Becher è cioè di natura ontologica piĂš che tassonomica: il mondo, tutto quello che sta di fronte allâosservatore e oltre le lenti dellâobbiettivo (che ha la mera funzione di occhio impersonale che registra un caso particolare) può essere conosciuto grazie a unâazione induttiva di riconoscimento degli elementi di una famiglia. Il mondo si mostra con la sua varietĂ di casi, e il fotografo ha il compito della scelta tra gli innumerevoli esempi forniti dalla realtĂ .
Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, questâidea non è maturata dopo una lunga riflessione intellettuale, bensĂŹ
a posteriori e a seguito di un processo visivo, dopo una delle tante campagne fotografiche dei Becher nella Germania industriale degli anni â60. Racconta infatti Hilla Becher nellâintervista a catalogo: â
La questione delle tipologie emerse solo dopo aver radunato un poâ di materiale. Mettemmo della fotografie sul pavimento e ci parve che creassero un ritmo. Ci fu chiaro che se avessimo potuto disporre di un maggior numero di immagini di questo tipo avremmo potuto ottenere una famigliaâ.
La scelta del bianco e nero da un lato derivava dalla ristrettezza economica (i materiali a colori erano a quei tempi molto costosi) e dallâaltro aveva il vantaggio di mostrare la struttura dei soggetti con piĂš evidenza, similmente allâadozione di punti di ripresa ortogonali con cieli a sfondo chiaro.
Peccato invece che la mostra, che avrebbe potuto inoltre offrire uno stimolante confronto tra
Giorgio Morandi e gli autori tedeschi â si pensi alla reiterazione delle medesime procedure di visualizzazione o al ritornare con insistenza su un numero finito di soggetti -, sia elusiva su questi aspetti e lasci la suggestione del confronto solo al visitatore piĂš accorto.