Una ricerca plastica condotta fin dai primi esordi alla
Galleria Schneider di Roma, nel 1962, caratterizza il lavoro di
Paolo Icaro (Torino, 1936; vive a Pesaro):
già in quegli anni ciò che interessava all’artista era il gesto istintivo,
l’impronta originale e personale data alla materia. Ecco allora l’utilizzo
della terracotta, poi del cemento e più di recente del gesso, ma anche
un’indagine sullo spazio condotta attraverso le celebri installazioni, che
saranno poi chiamate
Gabbie (1967).
Considerato uno degli esponenti dell’Arte Povera, fin da
quando Germano Celant lo invitò a partecipare alla mostra
Arte Povera.
Im-spazio alla
Galleria La Bertesca di Genova nel 1967, lo scultore iniziò un percorso che lo
portò a lavorare fra Italia e America, tenendo importanti esposizioni
personali, come quella nel 1982 al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano.
Dagli anni ‘90 gli sono state dedicate significative antologiche, tra cui
quella curata da Danilo Eccher, tra 1995 e 1996, alla Galleria Civica di
Trento, fino alla recentissima partecipazione a
Italics, curata da Francesco Bonami a
Palazzo Grassi di Venezia.
Oggi la Galleria Niccoli dedica a Paolo Icaro una piccola
retrospettiva che ha per protagoniste quindici delle sue stele in gesso, che
intendono rappresentare il risultato della riflessione condotta sul linguaggio
della scultura, sulle ragioni intime del suo farsi. Alla materia plastica, che
a una visione ravvicinata di dettaglio richiama le antiche decorazioni rococò,
dove il gesso era protagonista e permetteva effetti esuberanti e al tempo
stesso di massima leggerezza, Icaro unisce altri elementi estranei – il piombo,
il vetro, tracce di colore, ritrovamenti naturali, un neon rosso – giungendo a
creare innesti, tagli netti da cui scaturiscono nuove prospettive, sorprese che
si svelano solo aggirandosi tra gli spazi, dove il bianco prevale su tutto.
Né è assente la parola scritta, che tanta importanza ha
avuto nel movimento dell’Arte Povera (basti pensare ai lavori di
Alighiero Boetti): lettere attraversano la sezione
di
Sigillo, adulto… del 1992 e i segni grafici, quasi un linguaggio primitivo, si snodano
lungo l’altezza di
Sigillo, scribble.
In precario equilibrio, le delicate sculture si ancorano
tuttavia fermamente a terra e si lasciano percorrere con uno sguardo che
talvolta le attraversa, altre volte le circonda. Si pongono come presenze
disseminate nello spazio della galleria, legate da un candido sentiero di
marmorina, e comunicano un senso di instabilità, di non finito ma allo stesso
tempo di forte spiritualità.
Se alcune stele sono site specific, la maggior parte
appartiene a un lungo lavoro di sintesi iniziato più di trent’anni fa (ad
esempio
Monodica glass del 1984 oppure
Interno, pelle piombo del 1988) che ora approda a un
risultato organico e a una visione complessiva della poetica dello scultore.