L’epopea epica di Gilgamesh – dove si narra attraverso
l’amore-odio tra il re babilonese e la creatura gigante Enkidu, in quella che
probabilmente è la prima vicenda omosessuale dell’antichità – rivive nella
personale strutturata come una suggestiva installazione di
Antonella Cinelli
(Teramo, 1973;
vive a Bologna), nella quale l’artista estrapola una parte della narrazione
legata al mito per riproporla in chiave attuale e caratterizzare in modo
individuale e simbolico i due personaggi.
Ma, nonostante la tematica cruda e scottante, la
sensibilitĂ messa in gioco dalla pittrice è tutta femminile e mostra la volontĂ
di cogliere la complessità della natura umana – a volte in gran parte
contraddittoria – e non soltanto la sua semplice e sola ipotesi.
Di fronte alle ampie sale della galleria, l’occhio cade da
subito sull’imponente trittico
Titano, che nasce dalla volontĂ di creare qualcosa di
monumentale, per poi spostarsi sulla costruzione espositiva, che parte dal
singolo frammento, cioè dall’impossibilità di dare una visione completa della
persona nella sua interezza, che si moltiplica attraverso i numerosi tagli
compositivi. La struttura composta dai frammenti dei corpi, che appaiono come
fotogrammi cinematografici, segna la decisione di andare con la sola pittura
oltre l’impostazione classica, mentre il vuoto del fondo nero dietro le spalle
accoglie i protagonisti in tensione che si muovono contorcendosi su loro
stessi. Non è chiaro se sia una lotta o una tenzone amorosa.
Antonella Cinelli racconta semplicemente, dietro lo spunto
mitologico preso a pretesto, la storia di una coppia di amici come tante altre,
poiché è il ritratto analitico delle persone che le girano attorno che alla
fine le interessa. E, per la prima volta, si misura con l’immagine maschile,
lei che aveva sempre ritratto la femminilitĂ piĂą intensa, erotica e sensuale,
attraverso i suoi feticci – gambe, calze velate, reggiseni – affrontando la
difficile tematica dell’omosessualità con delicatezza e senza un filo di morbosità .
Tra luci e ombre, i due uomini che si assomigliano in modo
impressionante (uno di origine italiana e l’altro greca) si mostrano con una
fisicità estremamente dinamica e maschia – non a caso entrambi lavorano in
palestra -, citando così volutamente l’aspetto fisico del loro lavoro, che si
esplica nella lotta greco-romana fermata dalla selezione fotografica della
pittrice un momento prima di riprodurne l’azione sulla tela.
Nel combattimento – tra chiaroscuri violenti e prospettive
ardite, nei giochi di una luce che taglia i corpi disegnati a olio e acrilico,
celandone alcune parti – le due figure arrivano a diventare una sola, ambigua
presenza che lotta con se stessa, forse per la necessitĂ di capire meglio il
suo io interiore.
Nell’ultima stanza, la pittrice torna al tema caro con la
serie dedicata a Rossella, un ritratto di donna a cui si affianca la figlia
bambina. Il rapporto studiato tra madre e figlia viene suggellato dalla piccola
scatola dei ricordi che la pittrice costruisce per fermare il tempo – dettagli di una
vita in comune, quasi uno strumento per catalogare situazioni care a un momento
passato – e per introdurre così un nuovo discorso sull’infanzia, che
intraprenderĂ nei mesi a venire con la sua instancabile volontĂ di esplorazione
antropologica.