Categorie: bologna

fino al 30.I.2011 | Chardin | Ferrara, Palazzo dei Diamanti

di - 22 Novembre 2010
In un secolo in cui la pittura di storia
rappresenta il vertice di una gerarchia di generi imprescindibile per la
cultura ufficiale, Jean-Siméon Chardin
(Parigi, 1699-1779) si sottrae a tutte quelle caratteristiche ritenute
fondamentali per un artista del suo tempo. Sin dagli esordi non ama disegnare,
non gli riesce facile rendere il movimento, i gesti e le fuggevoli espressioni
dei volti (aspetto rilevato da più d’uno dei suoi contemporanei) e rifiuterà
sempre qualsiasi forma aneddotica per dedicarsi a un mondo silenzioso e
inanimato. La mostra, al Museo del Prado da
febbraio 2011, è curata da Pierre Rosenberg, presidente-direttore onorario del
Louvre, e segue un percorso diacronico che illustra le diverse fasi della sua
produzione artistica.

Figlio di un artigiano, formatosi
presso la bottega di Pierre Jacques
Cazes
e poi in quella di Nicolas
Coypel (dove apprende la
fondamentale arte dell’osservazione del reale), il giovane Chardin entra in
accademia solo nel 1728, dipingendo “pitture di caccia”, il genere più basso
nella gerarchia artistica ufficiale.

Intorno al 1730 introduce nelle sue nature morte i
primi oggetti da cucina, riproducendone
con attenzione dettagli e sfumature (le due
versioni del Paiolo di rame stagnato sono di quegli anni). Nonostante
la “viltà” dei soggetti, il successo non tarda ad arrivare: le sue tele
(esposte nell’annuale Salon del
Louvre) piacciono ai letterati (più che
alla critica d’arte), trovando in Diderot un fedele e sincero ammiratore.


Dal 1733 estende la propria ricerca alla figura e alla composizione di scene di genere (il Garzone
d’osteria
e il Benedicite)
che gli faranno guadagnare la fama e gli permetteranno di raggiungere le più alte cariche in ambito accademico. Nel 1740
torna a dipingere nature morte (sono di quegli anni Mazzo di garofani e Il paniere di fragole di bosco) e,
dal 1757, dimora al Louvre, rinnovando incessantemente tecniche e soggetti
anche quando la vista lo abbandona progressivamente a causa dell’amaurosi.

Chardin costituisce un vero e proprio caso per la
critica del periodo, “un Vermeer di
Francia
” che contrappone la solida fermezza della materia alla leggerezza delle tele di Fragonard, la purezza e la castità dei giochi dell’infanzia (ne
sono esempi Le bolle di sapone e La bambina col volano) all’erotismo
delle opere di Boucher, la banalità
del quotidiano agli ironici camouflage sensazionalisti di Watteau.


Chardin raffigura solo ciò che vede, scegliendo e
semplificando. Riproduce con pazienza e abilità tecnica il silenzio quasi
mistico che circonda gli oggetti quotidiani, la poesia insita nella realtà
stessa delle cose, l’atmosfera domestica, l’aura di sacralità delle cose del
mondo. Come i pittori fiamminghi del XVII secolo o come Morandi nel XX, dedica a ogni opera tempo, dipingendo rigorosamente
dal vivo, in completa controtendenza rispetto ai suoi colleghi contemporanei. I
grandi pittori del Settecento non solo erano abili disegnatori, ma grandi
inventori di storie (di solito ispirate alle leggende dell’antica Roma).

Chardin non sapeva probabilmente fare bene nessuna
di queste cose, ma nelle sue opere si può già percepire quella linea di
astrazione dei volumi che da Cézanne
a Picasso caratterizzerà tutta la
ricerca artistica dei successivi due secoli.

giulia
pezzoli

mostra visitata il 16 ottobre 2010


dal 16
ottobre 2010 al 30 gennaio 2011

Chardin – Il pittore del silenzio

a cura di Pierre Rosenberg

Palazzo
dei Diamanti

Corso Ercole I d’Este, 21 – 44100 Ferrara

Orario: tutti i giorni ore 9-19

Ingresso: intero € 10; ridotto € 8

Catalogo Ferrara Arte Editore


Info: tel. +39 0532244949; fax +39 0532203064;
diamanti@comune.fe.it; www.palazzodiamanti.it

[exibart]

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