Le Conversazioni di Oliviero Rainaldi (1956) tessono trame metatemporali tra mistico e mondano, realtà e apparenza. Più che dialoghi sono silenziose contemplazioni, la cui assenza di moti e motti nulla toglie all’espressione, caricata di sottili e colti rimandi. Al centro il tema biblico di Susanna e i vecchioni, ripercorso in secoli e secoli di storia dell’arte: Susanna, giovane e bellissima sposa, viene falsamente accusata di adulterio da due maturi uomini che avevano inutilmente cercato di attentare le sue virtù, dopo essersene invaghiti spiandola mentre questa nuda faceva il bagno. Viene infine salvata, grazie al forte e virtuoso coraggio dimostrato, dal profeta Daniele.
Un tema già di per sé ambiguo nel panorama della storia dell’arte, legato più alle camere d’alcova che alle sagrestie delle chiese; la casta Susanna è infatti uno dei tanti personaggi –assieme a Cleopatra, Venere ed altre figure femminili legate alla mitologia- usati in passato per giustificare una nudità esibita, spesso perfino erotica.
Ma a Rainaldi, artista profondamente religioso, più che il fattore sensuale interessano le pulsioni umane che entrano in gioco nella storia: il vizio e la virtù, l’inganno e la nuda veritas, la corruzione e la purezza. Lo sguardo voyeuristico del contemporaneo, dell’era della privacy violata dalle telecamere del controllo e dello spettacolo (due facce della stessa medaglia, direbbe Debord), s’incontrano qui con l’antico tema sacro nelle sue più diverse implicazioni mistico-mondane.
Il breve percorso ha al centro una tela di grande dimensioni, unico esplicito riferimento al tema sacro. E’ questa l’unica opera che presenta, con il suo sfaldarsi verde-brillante, una cromia, una luce altra rispetto al candore classico dei lavori di Rinaldi. Veramente poco è concesso alla corporeità dei personaggi, al loro silenzioso ma chiaro intendersi; sono definiti per allusione, evocazione, per sfaldamento, per un paradossale non finito. A contorno dell’opera sono sei grandi disegni a carboncino raffiguranti ognuno un individuo colto nell’atto di scostare una tenda. I temi tanto cari all’artista, dallo studio del corpo e dei volti a quelli dei panneggi e della luce, sono qui usati per raffigurare, quasi in maniera ossessiva, il tema del voyeurismo ma al contempo quello della svelamento, della verità. La luce è un fattore sempre presente e centrale, con richiami al barocco e a certa pittura veneziana del Settecento, mente non meno colta è l’iconografia che sembra riallacciarsi idealmente a quella assai complessa della Venere e Cupido del Bronzino.
La luce torna, ponderante, irradiata ovunque -sembra oltrepassare la materia- nella serie di sculture che concludono il percorso. Figure intere arcuate e misticamente tese alla contemplazione, come angeli senz’ali, oppure più semplici e informi volti che nella povertà del gesso sembrano suggerire come virtù e verità -per Susanna ma pure per noi- sono le uniche strade possibili.
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