Valorizzare una collezione,
esporre grandi nomi della fotografia contemporanea, dare visibilità a giovani
autori under 35, sostenendoli nella loro ricerca. Questi gli obiettivi di
Fondazione Fotografia, i cui risultati sono ora in mostra a Modena. Come nelle
precedenti esposizioni, anche in
Tre il
curatore Filippo Maggia ha scelto la partecipazione – ma
anche l’acquisto delle opere – di alcuni artisti
mid-career e di
altri più giovani.
Due sono i progetti dedicati alle città e agli
spazi umani. Il primo è di
Lorenzo Casali, che fin dai primi lavori si è
concentrato sulle demolizioni, sulle tracce della vita trascorsa negli
appartamenti, poco prima della loro dissoluzione finale. Il secondo è quello di
Francesco Jodice, che da anni si occupa della
rappresentazione della società urbana, seguendone le mutazioni continue e
talvolta radicali. Il progetto
What We Want ritrae oltre quaranta città, soffermandosi su quartieri in costruzione o su
realtà consolidate, confrontando le situazioni con uno sguardo lucido che
documenta un’evoluzione incessante, mai sottoposta a giudizi merito.
Contrastano gli scatti di
Paola
De Pietri: paesaggi naturali estremi, che a guardarli bene
nascondono i segni della storia italiana. Rifugi, trincee, fronti della Prima
guerra mondiale ancora oggi esistenti nell’ambiente alpino ma che stanno per
essere riassorbiti dalla natura, che se ne riappropria pian piano, rendendo
labile il confine che separa il ricordo dall’oblio.
Se
Eva Frapiccini si
inserisce in modo intenso nell’attualissima problematica degli incidenti sul
lavoro con un
game cabinet che consente la percezione della
dimensione privata della tragedia,
Renato Leotta presenta invece
Pompei, installazione che offre le
sensazioni degli scavi archeologici dell’antica città campana, evidenziandone
gli aspetti simbolici – il rosso
in primis – in
un gioco di rimandi tra gli elementi ricorrenti.
Sembrano scenari teatrali le
fotografie delle camere operatorie di
Pino Musi:
ambienti immortalati subito dopo il loro uso, ancora carichi di tensione, dove
colpiscono le tracce degli interventi, gli strumenti, le lenzuola insanguinate.
Hybris, l’aspirazione dell’uomo a sfidare gli dei, è
evidente nei riferimenti alla scienza medica e al potere del chirurgo sulla
vita del paziente.
Carmelo Nicosia affronta invece il tema della guerra, raccogliendo materiali d’archivio e
vecchi video, rielaborandoli fotograficamente e intessendo una trama dove, alle
immagini degli aerei da bombardamento, si alternano visi di persone reali,
volti appartenenti ormai alla storia e trasformati quasi in icone.
Le oltre settanta opere si pongono
come uno sguardo attraverso l’eterogeneità degli stili e delle ricerche, degli
approcci al mezzo fotografico e dei codici visivi delle immagini. E conducono
attraverso suggestioni capaci dar vita a nuovi, accattivanti punti di vista
sulle realtà.
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mi chiedo come mai le mostre di Filippo Maggia siano sempre così noiose o fuori tempo massimo