Fresco di accademia,
Luca Resta (Bergamo, 1981) presenta presso Placentia Arte una mostra personale in cui il discorso sulla scultura è intessuto nella trama dei ricordi e nel rapporto che questi sviluppano con il presente.
Le sue opere sono, infatti, frammenti d’infanzia riportati alla luce con l’atteggiamento dell’archeologo, fissati poi nel marmo come grazie a un processo alchemico o come vittime dello sguardo di una Medusa di passaggio. Nel loro svolgersi incontrano la vita adulta, il lavoro, il vissuto personale, pur senza rinunciare alla propria immediatezza.
Sulla moquette della galleria, Resta ha sparso mucchi di palette e rastrelli ripescati dai giochi in spiaggia. Il nitore e la delicatezza degli oggetti non lasciano percepire la sostanza di cui sono composti, facilmente fraintendibile. Un primo spostamento di senso si ha quindi nel rapporto forma-materiale: se la tradizione della storia dell’arte vuole il marmo (di Carrara) come simbolo di equilibrio e stabilità, il giovane artista gli dà l’apparenza di una fragile plastica, tradita solo da sottili venature, invitando gli spettatori a dribblare gli oggetti sparsi sul loro tracciato, per timore di violarli, calpestandoli.
Il secondo slittamento coglie il visitatore al primo impatto. Il candore delle piccole sculture, appoggiate l’una sull’altra in maniera scomposta, dà vita a una sorta di fata morgana, creando un lugubre miraggio di una trama d’ossa, abbandonata alla carità e alla fantasia di chi li osserva, immediatamente poi confortato dalla realtà effettiva delle cose.
È la relazione fra titolo e opera a creare il terzo cortocircuito.
Man at work è infatti il trait d’union dell’intero carrozzone, una parabola ellittica tra passato e presente, dove i lavoratori sono i bambini sulla spiaggia e gli attrezzi degli adulti sono i giochi dell’infanzia. Il bisogno dei piccoli di emanciparsi, attraverso i simboli in scala dell’età adulta, tradotti in giochi “da grandi”, s’incontra con il desiderio degli uomini al lavoro di tornare a un passato avvolto nei ricordi e nella nostalgia.
Così il tema principale dell’intero percorso a ostacoli, tra una paletta e l’altra, diventa il tempo traghettato nel ciclo della vita, all’interno delle sue stagioni, mai esplicitato, con cui il giovane artista si confronta. Con la consapevolezza e, volendo, la sfrontatezza dell’età di mezzo.
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Interessante questa cosa. Peccato per il riferimento forte a fabio viale (che gestisce il marmo nello stesso modo). Ma questa è una sintesi migliore.
Mi vengono in mente i "late comers". Quei paesi in via di sviluppo che partendo da zero possono copiare i pasei già sviluppati e fare meglio di loro.