Oaxaca, situata nel lembo meridionale del Messico, è una sorta di paradiso artistico fin dagli anni Trenta. Ancor’oggi conserva il suo alone mitico, caratterizzato da uno spirito d’apertura, modernità, mescolanza, unito a forme, colori e tradizioni millenarie. Un mélange di antico e moderno che caratterizza la scuola artistica di questa regione, idealmente collegata con figure quali Frida Kahlo, Rivera, Orozco, Siqueiros: i grandi protagonisti del muralismo messicano. Pregne dello spirito di questa terra, le opere di 12 artisti di oaxaqueni selezionate per questa mostra sono caratterizzate da un forte spirito d’indipendenza che rende assai stretto il dialogo tra modernità e tradizione. A linguaggi contemporanei, talvolta perfino pop, è infatti associato un immaginario autoctono con tonalità grottesche, fauve, naïf, spesso derivate da uno spirito animista tutto messicano che fa dialogare vita e morte, favoloso e mostruoso, tragico e ludico. Una trasversalità e pluralità di linguaggio che ha radici millenarie, e proprio grazie a queste può germogliare fiori sempre nuovi.
Demián Flores Cortés (1971) è uno dei due giovani presenti in mostra. I suoi collages che associano boxeurs, Superman, giocatori di baseball agli antichi resti di templi precolombiani, sono forse uno degli esempi più calzanti di questo dialogo tra epoche e simbologie. Sergio Hernández (1957) propone una pittura dalla forte astrazione, pur concedendosi talvolta a composizioni figurative caratterizzate da un acceso cromatismo. Filemón Santiago (1958) e soprattutto Maximino Javier (1948) uniscono una pittura popolare, naïf, quasi da ex voto, con un immaginario fantastico e surreale avente al centro per lo più il mondo contadino.
Rubén Leyva (1953) è un concentrato di tradizione messicana: favola e colore, archetipo ed incanto, il tutto raccontato con un linguaggio primordiale, pittografico, d’un astrazione che ricorda Paul Klee; un discorso simile può valere anche per José Villalobos (1950). Rodolfo Morales (1925-2001), tra i più importanti artisti della scuola di Oaxaca, è stato il moderno cantore di una religiosità al contempo metafisica e popolare, surreale e matriarcale.
Guillermo Olguín Mitchell (1969), l’altro giovane del gruppo, se da una lato è forte di un’educazione artistica internazionale, dall’altra ripropone l’antichissima tecnica della pittura ad encausto, con la quale da vita ad opere caratterizzate da un’astrazione arcaica, per certi versi perfino rupestre, dal persistente zoomorfismo comune anche al più noto Francisco López Toledo (1940). Alejandro Santiago Ramírez (1964) è presente con uno straordinario gruppo di sculture in ceramica, mentre Luis Gonzáles Zárate (1951) propone lavori caratterizzati da un forte senso animista.
Rufino Tamayo (1899-1991), il più internazionalmente noto, sfiora l’incanto con la sua Art Brut astratta e profondamente messicana.
Non c’è quindi da stupirsi che il Messico sia un paese verso il quale molti artisti, da James Brown a Pablo Echaurren, rivolgono lo sguardo.
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anchio son mexicano!!!!!!!!!!!