Cesare Tacchi dà due spiegazioni della scelta del titolo Zigzagando per questa personale bolognese. La prima è che il suo percorso è un zigzag tra vari esperimenti di stile; mentre la seconda la racchiude nell’espressione “ho tempo da perdere, non ho fretta”.
Ma la sua lieve autoironia non fa scordare che si tratta di uno degli esponenti più importanti della pop art italiana, che nel ’59 faceva la sua entrata nel mondo dell’arte in terzetto con Mario Schifano e Renato Mambor. Poco dopo, verso la metà degli anni Sessanta, inizia il percorso che la galleria De’ Foscherari ha deciso di ricreare. E poichè le vecchie opere non erano più disponibili, ha commissionato a Tacchi stesso delle copie, modificate solo in piccoli particolari.
Queste opere, che potremmo dire clonate, sono per la maggior parte le famose “tappezzerie”. I dipinti sono imbottiti, tridimensionali, disposti su una superficie ricurva come se sotto fossero presenti delle bolle. L’artista se ne serve per delineare le guance di un viso, le curve di una donna, le forme di un oggetto. Vi vengono disegnati sopra solo dei contorni che, in modo essenziale, rappresentano immagini riconducibili all’immaginario degli spot pubblicitari. Si tratta di visi sorridenti di belli e giovani personaggi, superficiali più del necessario, che sembra si sussurrino le frasette proposte dal titolo: Come è liscia la tua pelle oppure Come è bianca la tua camicia.
Si scivola a questo punto ad un altro filone di Tacchi, quello inaugurato nel 1968 con la performance Cancellazione d’artista, in cui egli negava sé stesso e tutti gli oggetti. I due esempi in mostra sono la porta che non si apre e lo strumento che non suona: “Ho costruito alcuni oggetti che, dalla negazione narcisistica di me stesso, negavano anche le immagini, le funzioni e, in definitiva, il mondo.”
L’ultimo salto, l’ultimo zigzag di questa esposizione antologica, che Tacchi preferisce definire antilogica è il ritorno alla pittura. Il periodo è la seconda metà degli anni Settanta. “Sono opere ancora fortemente concettuali, non ancora mature, non ancora decisive. Desideravo riappropriarmi degli strumenti e materiali nobili della pittura.” L’esempio più importante, nonchè il primo, è proprio quello esposto ora a Bologna, la tela Lo Spirito dell’Arte, in cui da uno sfondo nero emergono delle dita che tengono stretta una tavolozza; la tavolozza però la si può solo immaginare, perché è immersa completamente nel nero nel fondo. Era il periodo in cui ci si domandava se le pittura era morta e se sarebbe mai rinata.
carolina lio
mostra visitata il 21 dicembre 2005
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