L’espressionismo infantile di Gianfranco Asveri (nato a Fiorenzuola d’Arda nel 1948, vive sulle colline piacentine) affonda le radici nella violenza poetica del gesto improvviso, nel rapporto fisico e sincero con la materia, nella limpidezza ingenua di un messaggio privo di asperità concettuali, ma non per questo superficiale. L’assoluta autonomia creativa dell’artista si fa carico di un universo simbolico strettamente correlato con il suo paesaggio interiore, evidenziato con chiarezza dall’istintiva vitalità delle sue opere. Partendo da una concezione poetica del reale, Asveri aggredisce la superficie con prepotente emotività, dando vita ad un mondo carico di tensione, magicamente ancorato al ricordo di una natura accogliente e bonaria. Aiutato da un cromatismo che alterna tonalità oniriche e rassicuranti a pennellate ricche di inquietudine, l’artista si muove con assoluta naturalezza tra ambienti carichi di gioia e paesaggi ferocemente tormentati. Le figure primitive che animano i suoi quadri sono portatrici inconsapevoli di un messaggio fatto di simboli indecifrabili e frammenti misteriosi di una memoria che fatica ad emergere.
I violenti grafismi di Asveri accantonano volutamente le preoccupazioni di scala e proporzione, per dare libero sfogo all’urgenza dei flussi immaginativi. La deformazione esasperata del disegno, unita alla vitalità pastosa della materia, riporta alla mente le esperienze più radicali dell’Art Brut, anche se qui la figurazione, pur essendo elementare, va incontro ad una regressione molto più trattenuta. Le teste dei suoi protagonisti ricordano, in alcune espressioni, i volti allucinati di Basquiat, gli ironici Generali di Enrico Baj o le forme tumultuose di Guillaime Corneille. Ciò che accomuna maggiormente tutte queste esperienze al perc
Le opere esposte evidenziano accostamenti cromatici equilibrati e un gusto narrativo che utilizza alcuni motivi ricorrenti –la luna, la casa, i fiori e gli animali– come simboli di un piccolo mondo antico allo stesso tempo gioioso e malinconico. Il pittore piacentino ostenta con orgoglio la mancanza di frequentazioni accademiche proponendo una concezione dell’arte come presupposto necessario al proprio benessere fisico e mentale. Un’arte che diventa esigenza intima e concreta, lontana da ogni intellettualismo forzato, figlia privilegiata dell’osservazione attenta del dato reale. L’aspetto più interessante del ciclo di opere presenti in mostra è l’assoluta libertà con cui il pittore associa, in un contesto apparentemente casuale, tutti gli elementi di un immaginario che si trasforma, una volta “gettato” sulla tela, in racconto. La forza prorompente delle sue creazioni acquista, grazie alla ruvida asprezza della materia e alla chiassosa imprecisione delle forme, un fascino lirico e misterioso. Come Osvaldo Licini nei suoi dialoghi fantastici con la “diletta luna”, anche Asveri affronta la realtà con entusiastico stupore, di fronte al miracolo continuo di una natura che respira, si trasforma e magicamente vive.
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