Il panorama culturale delineato dalla mostra curata da Barilli si pone in una linea di continuità rispetto a Officina Europa del 1999, mentre costituisce una decisa novità rispetto all’ancora precedente Officina Italia del 1997, nella quale le tendenze dell’ondata postconcettuale legate alla produzione immateriale trovavano una forte rappresentatività. Ora, in nome d’un ritorno all’origine di ambigua sostanza si aprono prospettive per la progettazione di una futura ”Officina Asia”, cui possano seguire una “Officina Africa” o anche una “Oceania”.
La mappatura della mostra in effetti fedele ai suoi presupposti di rilevamento d’una realtà legata a valori di tattilità e rivestimento, preannunciato dal nuovo pattern painting della fine degli anni Novanta, privilegia la pittura – dove l’elemento manuale naturalmente non è esclusivo – con ventisette opere (compresi i wall painting), l’idea di rivestimento comprende le sculture “parietali” a rilievo (tre opere), le opere di fotografia sono quattro e il resto sono sculture e installazioni, collocate soprattutto negli spazi aperti di Cesena e Rimini, i video sono tre, di cui uno è una videoinstallazione.
La mostra è divisa in tre sezioni. La prima, intitolata Una nuova casa dell’uomo, si trova a villa delle Rose, dove ci accoglie l’idea di una seconda pelle che rivesta la nudità fredda delle pareti. Vi è talvolta un richiamo forte alla pop art, ironicamente mescolato con altri linguaggi, in Lari Pittman e, in modo dissacrante, in Bonnie Collura, la cui testa di Lincoln massacrata da una pallottola assomiglia ad un gelato di panna e cioccolata che si sta sciogliendo (con una ciliegina sul naso). Si lavora ancora di citazione con Jean Lowe che ricrea i buoni sentimenti della vecchia America in tridimensionali oggetti lillipuziani di cartone, mentre la società dei consumi è stigmatizzata nella serigrafia su carta a dimensione di parete rappresentante una Libreria fatta di lattine di birra di Virgil Marti.
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